07 Ago QUEL PICCOLO MONDO DI IERI Come facevano il vino
L’opinione di Don Chino
2019-07-24 14:59:39
“I ricordi che ci riportano nel passato hanno qualcosa
da suggerirci, da insegnarci. Conservano esperienze, desideri raggiunti, ideali
che solo il futuro ha potuto accertare. Nel mio piccolo mondo di ieri, povero
di cose e ricco d’umano, ho conosciuto persone, vissuto fatti che hanno
lasciato in me il desiderio di correre verso il futuro con in mano la fiaccola
accesa.” Don Chino
Pezzoli
Come si faceva il vino
Ai tempi miei la scuola ricominciava ad ottobre. I ragazzi erano una forza
lavoro non indifferente per l’agricoltura e, in una nazione in cui più del 60%
dei suoi abitanti lavorava la terra, si tenevano in gran considerazione i lavori
dei campi che si concludevano, per i ragazzi con la raccolta dell’uva.
Ecco perché non si andava a scuola fino al primo di ottobre. Il vigneto nella
famiglia contadina ha occupato sempre un posto di rilievo. Esso veniva seguito
nell’arco di tutte le stagioni con i lavori di potatura, legatura e piegatura
dei tralci, zappatura del terreno, della cimatura e, infine, della protezione
dell’uva dai predatori naturali come gli uccelli.
Prima di qualsiasi vendemmia era importante la cura
con cui i contadini dovevano lavare ed aggiustare i contenitori del vino
dell’anno prima come tini, botti e damigiane: operazione che veniva fatta nei
giorni precedenti la raccolta dell’uva. A questo punto si poteva procedere alla
vendemmia. In una bella giornata di sole, che non mancava mai, tutta la
famiglia arrivava sul carro trainato dal mulo con le scale, i cesti e le
cesoie. E via a raccogliere i preziosi chicchi scartando quelli che si
erano imputriditi.
La vigna veniva
ripulita di tutta l’uva: non ne rimaneva nemmeno un piccolo grappolo.
Questa operazione veniva fatta in allegria e, per l’ora di pranzo, grandi
cesti erano già stati riempiti con cibo squisitissimo che mangiavamo seduti nel
prato: erano stati aggiunti anche due bei fiaschi di vino dell’anno. Da bere,
per i piccoli, c’era l’acqua sorgiva. Erano giornate intense e faticose, ma
nessuno di noi avvertiva la stanchezza, scacciata dalle canzoni che intonavamo
in coro insieme a belle risate.
Tuttavia, per i ragazzi era il momento più bello della
vendemmia arrivava il giorno dopo, quando l’uva veniva posta in un lungo
contenitore, una specie di cassapanca di legno aperta in alto, per essere
pigiata. La cassapanca veniva messa a circa un metro dal suolo e vi
veniva fatto un buco che permetteva al mosto di fuoruscire per essere raccolto
con un secchio che veniva poi versato in una vasca di fermentazione. Questo
liquido, al massimo dopo una settimana, veniva versato nella botte. Il tempo di
questa fermentazione dipendeva dal tipo di uva e dal luogo di produzione. L’uva
non veniva mai lavata perché questa operazione poteva bloccarne la
fermentazione.
La cosa strabiliante per noi piccoli era che, cosa
rarissima, i bei lavori, una volta tanto venivano assegnati a noi, ovvero erano
i bambini che dovevano entrare in questo contenitore e, con i loro
piedini, pigiare i chicchi. Che gioco bellissimo questa pigiatura! Sotto i
nostri piedi sentivamo spaccarsi l’uva che schizzava contro le pareti e sguazzavamo
all’infinito in un liquido odoroso, senza che nessuno ci sgridasse.
Dopo questa pigiatura, delle vinacce rimaste c’era una
successiva torchiatura il cui composto che fuoriusciva poteva essere
trasformato in “grappa”, per gli esperti o “acquaticcio”, un vinello che doveva
essere bevuto, però, nei tre giorni seguenti.
Dopo la vendemmia si mettevano da parte i più bei
grappoli di uva bianca dolce, che venivano appesi alle travi della cantina
per essere essiccati. I grappoli di uva passa erano poi offerti per il cenone
di fine d’anno come augurio di prosperità (chicchi = soldi).
Non mancava anche un dolce fatto con il mosto a cui si
aggiungeva la farina, il “sugo d’uva”, che assumeva un bel colore violetto
e che si poteva mangiare solo nel periodo della vendemmia. Ecco gli ingredienti
della ricetta della nonna: succo d’uva, farina, zucchero.
Per ogni bicchiere di succo d’uva raccolto dalla
pigiatura un cucchiaino raso di farina e un po’ di zucchero. Il sugo veniva
passato al colino perché fosse perfettamente pulito e non vi rimanesse
nulla della pigiatura. A questo punto lo si metteva in un tegamino e lo si
fa bollire avendo cura di togliere la schiuma che si forma. Una volta
pronto (5’ di bollitura) lo si lasciava raffreddare. Quando diventava
freddo lo si amalgamava ben bene con la farina e lo zucchero e lo si
riportava ad ebollizione mescolando continuamente fino a che diventasse un
composto denso e cremoso. A quel punto era pronto. Lo si lasciava di nuovo
raffreddare e poi lo si poteva servire fresco.
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