07 Ago QUEL PICCOLO MONDO DI IERI La visita di leva
L’opinione di Don Chino
2019-06-19 12:05:22
“I ricordi che ci riportano nel passato hanno qualcosa
da suggerirci, da insegnarci. Conservano esperienze, desideri raggiunti, ideali
che solo il futuro ha potuto accertare. Nel mio piccolo mondo di ieri, povero
di cose e ricco d’umano, ho conosciuto persone, vissuto fatti che hanno
lasciato in me il desiderio di correre verso il futuro con in mano la fiaccola
accesa.” Don Chino
Pezzoli
La visita di leva
In un piccolo mondo dove ogni evento eccezionale
contava, la visita di leva era una tappa, un traguardo giovanile importante. I
maschi a 20 anni si sentivano forti, maturi, pronti a servire il re e il duce.
Il messo comunale, una specie di postino attrezzato più di gambe che di testa,
portava alle famiglie l’avviso che il figlio doveva presentarsi alla visita
presso il distretto militare. Il messo era orgoglioso di soddisfare questa
mansione che gli dava lustro e visibilità da parte dei giovani che lo interpellavano,
alcuni giorni prima, con la solita domanda: “E’ arrivata?”. Il messo con il
petto in fuori e lo sguardo altero soleva rispondere: “Presto arriva”.
La chiamata al distretto militare era considerato un
documento prezioso, un avviso importante. Per alcuni era senz’altro la prima
volta che il loro nome e cognome appariva su un foglio di carta con i dati
anagrafici. La notte che precedeva la visita di leva, i coscritti tappezzavano
i muri del paese di volantini, striscioni con slogan interessanti. Alcuni
esaltavano l’eccezionalità e virilità della classe dei ventenni chiamati alla
visita militare: “Noi siamo forti e gagliardi, nessuno ci fermerà”; “Bionde e
more non piangete, solo per qualche tempo non ci vedrete”; “Noi vinceremo in
cielo in terra in mare!”; “Il duce e il re ci vogliono per sé!”. Altri
inneggiavano alla loro bellezza: “Piangeranno pure i sassi e le ragazze di
questa via quando i belli andranno via”; “Se a 20 anni siamo abili per il re lo
saremo anche per voi regine”.
Il giorno della visita un pullman attendeva la nuova
leva in piazza. I coscritti si presentavano con gli abiti festivi e i capelli
corti, allegri e sorridenti. Li aspettavano tre giorni di baldoria. Capitava però che qualcuno fosse avverso a
questo giorno di arruolamento. Presentarsi nudo in fila indiana davanti al
colonnello medico che misurava l’altezza, il torace e palpeggiava i testicoli
per accertarsi della virilità, a Tonino non garbava. Voleva, a tutti i costi,
essere scartato, reso inabile al servizio militare. Immaginò quindi qualche
gesto di autolesionismo: tagliarsi un dito, farsi cavare tutti i denti, ma alla
paura del dolore si sentiva morire. Decise quindi di presentarsi al distretto
facendosi passare per sordo.
Tonino, inesperto, prese alcune lezioni da uno zio che
si era fatto scartare, fingendosi sordo, durante la guerra di Libia. Lo zio non
risparmiò consigli al nipote: “Innanzitutto devi stare fermo e impassibile,
qualunque cosa ti dicano, banale o interessante, tragica o sorprendente. Così
pure se ti informassero che tua madre è in fin di vita, non devi fare una
piega. Dopo aver ascoltato lo zio come l’imputato la sentenza, gli chiese:
“Quali altre prove mi faranno?”. Lo zio subito lo mise all’erta di altri
tentativi per smascherare l’inganno: “Di notte grideranno al fuoco, al fuoco.
Tu non muoverti dal letto. Non ripetere mai ciò che hai sentito dire, usa
pochissime parole e sempre le stesse. Insomma, fa il sordo e basta!”.
Tonino per una settimana fu sottoposto a puntigliose
verifiche auricolari, un infermiere ogni mattina gli faceva lavacri con la pera
di gomma. Forse la stessa che adoperava per i clisteri. Per smascherarlo le
provarono tutte. Fu usata anche l’arma del sesso. Una tizia si denudò,
esclamando: “Tonino, guardia il mio seno!”. Tutto inutile. Finalmente, dopo
l’ennesima prova, il colonnello lo mandò a chiamare per comunicargli l’esito
della visita. “Puoi tornare a casa”, gli disse porgendogli un foglio. Tonino
non batté ciglio, come se fosse una statua appoggiata per terra. “Sei riformato,
questo è il tuo congedo, sei libero”, gridò l’ufficiale afferrandogli il
braccio e trascinandolo verso la porta d’uscita.
Nessun segno: sordo, totalmente sordo. Tornò in paese
con il congedo in tasca e per un mese circa non apparve in pubblico. A chi chiedeva
informazioni sull’esito della visita, sua nonna ottantenne ripeteva: “Mio
nipote è stato destinato al servizio sedentario”. La gente non capiva cosa
volesse significare quel “servizio sedentario”. La nonna precisava: “Può fare
il militare solo seduto”. Il militare Tonino non lo fece mai né in piedi, né
seduto.
Non solo. Con quel foglio in mano che attestava il suo
stato grave di sordità, riuscì ad ottenere anche l’invalidità. In paese lo
chiamavano il “sordo” e lo era veramente quando doveva scansare una fatica,
pagare la consumazione al bar con gli amici, ricevere un richiamo sul lavoro.
Camminava a passi brevi e svelti, si guardava attorno quasi si sentisse
inseguito Tonino non solo prese l’invalidità per tutta la vita, ma si convinse
pure che gli altri si potessero imbrogliare, in diversi modi. Forse non riuscì
a imbrogliare la sua coscienza. Dico forse.
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