QUEL PICCOLO MONDO DI IERI : Il maniscalco

QUEL PICCOLO MONDO DI IERI : Il maniscalco

L’opinione di Don Chino
2018-11-28 20:27:26

Il
maniscalco

Tonio il fabbro di buon mattino apriva l’officina, accendeva il braciere
dove avrebbe messo i pezzi di ferro. Il fabbro era l’artigiano che forgiava
oggetti di ferro oppure acciaio, utilizzando a questo scopo attrezzi a mano per martellare, curvare, tagliare o
comunque dare forma al metallo quando questo si trovava in uno stato non
liquido. Solitamente il metallo veniva riscaldato fino a farlo diventare
incandescente, e successivamente sottoposto alla lavorazione di forgiatura.
Questo tipo di lavorazione è stata una delle prime tecniche utilizzate per la
lavorazione dei metalli. Il termine “fabbro” proviene dalla parola
latina “faber”, cioè artefice, capace di creare, costruire, trasformare la
realtà in cui vive, per adattarla ai bisogni.

Mi ha sempre attratto il lavoro del fabbro del passato soprattutto quello
del maniscalco. Noi ragazzi chiamavamo il maniscalco il ciabattino dei cavalli.
Attrezzato di martello e scalpello adattava lo zoccolo del cavallo al ferro che
otteneva scaldando al fuoco un pezzo lineare e dandole forma a U battendolo
sull’incudine. Era l’arte della ferratura che consisteva nell’applicazione di
parti metalliche agli zoccoli dei cavalli per proteggerli dall’usura dello
zoccolo.

Il maniscalco non aveva come unico compito quello di ferrare il cavallo ma,
fino a qualche anno fa, confezionava personalmente i ferri secondo le caratteristiche
e le necessità di ciascun cavallo. Prima di ferrare un cavallo, un asino o un
mulo, questo artigiano ispezionava attentamente lo zoccolo dell’animale, lo
misurava e poi con martello e scalpello toglieva le parti eccedenti per fare
aderire il ferro allo zoccolo

Per il maniscalco era necessario conoscere e saper lavorare il ferro a
caldo o a freddo per riuscire ad adattare le verghe e le piastre metalliche
agli zoccoli dei cavalli. Non era facile la ferratura, necessitava che il ferro
incurvato a U aderisse bene allo zoccolo dove poi veniva inchiodato.

Di solito era un uomo dalla costituzione robusta. Il lavoro si svolgeva
stando per ore piegato sulle zampe dei cavalli, sostenendone il peso sulle
gambe. Ma soprattutto doveva possedere sensibilità e riflessi pronti,
riconoscere gli stati d’animo dei cavalli, comprenderne le intenzioni e quindi
prevederne gli scatti improvvisi.

Alla necessaria abilità manuale, il maniscalco associava anche conoscenze
di anatomia degli arti ed in modo particolare delle loro estremità, ispezionava
le andature e gli appiombi del cavallo. Spettava a lui realizzare una ferratura
che teneva conto della conformazione individuale dell’animale, facendo
attenzione anche alla scelta del ferro, che andava fatta in funzione
dell’impiego del cavallo.

Il suo intervento era fondamentale non solo quando si tratta di ferrare
piedi normali, ma anche per correggere piedi malati e andature difettose,
ripristinando l’equilibrio dello zoccolo. Un vero conoscitore persino della
deambulazione della bestia. Fatta la ferratura il cavallo veniva fatto
camminare in strade sassose mentre il maniscalco osservava se zoppicava o una
zampa era indolenzita.  

Nonostante la pratica del “cavallo scalzo” la ferratura continuava
ad essere necessaria per molti tipi di lavoro in cui i cavalli e quindi gli
zoccoli, erano sottoposti alla ferratura.  Anzi, questa tendenza ha dato nuovi impulsi
all’elaborazione di moderne e più naturali tecniche di pareggio dello zoccolo e
di recupero dei cavalli sferrati.

Grazie all’utilizzo di nuovi materiali, come ferri incollabili e scarpe
allacciabili da impiegare in situazioni particolari, la mascalcia si rivela
sempre più come un’arte al passo con l’evoluzione della scienza veterinaria e
dei moderni ritrovati della tecnologia.

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