07 Ago QUEL PICCOLO MONDO DI IERI : Il calzolaio
L’opinione di Don Chino
2018-11-02 08:48:00
“I ricordi che ci riportano nel passato hanno qualcosa
da suggerirci, da insegnarci. Conservano esperienze, desideri raggiunti, ideali
che solo il futuro ha potuto accertare. Nel mio piccolo mondo di ieri, povero
di cose e ricco d’umano, ho conosciuto persone, vissuto fatti che hanno
lasciato in me il desiderio di correre verso il futuro con in mano la fiaccola
accesa.” Don Chino
Pezzoli
Il calzolaio
Il calzolaio
costituiva un mestiere onorevole, seppur umile, ma capace di soddisfare le
esigenze di vita di una famiglia e assolvere una importante funzione sociale.
In ogni paese e città c’era la bottega del ciabattino. La modesta attività dello
“scarpolin” ha registrato echi notevoli anche nella letteratura e
nell’arte. Un mestiere di antica tradizione e onorato sia per l’utilità che per
la capacità di rattoppare e far durare le scarpe.
Noi ragazzi curiosi
ci fermavamo sull’uscio della bottega del calzolaio del paese e lo osservavamo con
stupore mentre batteva la suola
e piantava chiodi tenuti fra i denti per comodità. Era uno spettacolo. Un vero
professionista delle scarpe, a lui apparteneva la forma, la misura e anche
eventuali adattamenti al piede del cliente che soleva far presente la
condizione in cui si trovavano i suoi piedi. Se qualcuno obiettava che le
scarpe erano strette e gli facevano male, la risposta era sempre la stessa: “I
piedi devono abituarsi”.
Le scarpe nuove erano rare, un lusso,
pertanto le vecchie erano mantenute in vita per lungo tempo a forza di
risolature, di ricuciture e di rattoppi d’ogni genere. Mio padre che aveva da
giovane appreso mestiere, si sedeva spesso al suo basso tavolino per aggiustare
le scarpe della nostra famiglia. Con la tenaglia levava la suola dalla scarpa
ormai consumata e aggiungeva la nuova, riparava le tomaie, tamponava le fessure,
contento di farci calzare scarpe che resistevano all’acqua e alla neve.
Nelle famiglie povere (e quasi tutte
lo erano) le scarpe nuove costavano troppo e se i piedi da soddisfare erano
molti, era necessario aggiustare, riparare, adattare le calzature al figlio o
figlia minore. I poveri comperavano solo
le scarpe della festa (più leggere e più fini rispetto ai pesanti
scarponi) nella calzoleria di città, mentre quelle da lavoro o da portare nei
giorni feriali erano rattoppate, pezzate, bucate.
Il calzolaio apriva la sua bottega
di mattino presto, si posizionava al suo tavolino non prima però di avere
indossato un grembiule con la pettorina di colore blu a protezione dei poveri
vestiti. Se doveva confezionare un paio di scarpe nuove, prendeva con precisione
la misura del piede, riportava su un foglio di cartone l’impronta, ritagliava
poi le tomaie e le suole.
La confezione di un paio di scarpe
richiedeva due, tre giorni a seconda se erano per donna, uomo o bambino.
Nelle scarpe confezionate per bambini non c’era distinzione fra destra e
sinistra, perciò risultavano intercambiabili da un piede all’altro: erano dette
scarpe a dritto e sinistra. La misura delle scarpe contava poco, il
piede doveva, il più delle volte, adattarsi alle scarpe.
L’attrezzatura che serviva
per svolgere il lavoro era gelosamente custodita: martello particolare,
scalpello, tenaglia, ago e filo, chiodi, colla, forme di metallo dove Sul
piccolo scaffale accanto al tavolino teneva: cuoio, tomaie, tacchi, forme di
legno per i scarpe, suole adattabili. Un vero deposito di pezzi soprattutto
usati.
Il calzolaio spesso utilizzava la
tomaia delle scarpe vecchie e, con maestria, l’adattava per confezionare gli
zoccoli: un legno modellato a forma di piede a cui applicava la tomaia. Gli
zoccoli erano le calzature più usate nelle famiglie dei contadini, boscaioli,
allevatori di bestiame.
Ricordo di aver letto
negli anni ‘60 nella bottega di un calzolaio una saggia affermazione: “Un muratore si riconosce dal cemento sulle
scarpe, un contadino dalla terra sugli zoccoli e un burocrate dal caffè sui mocassini!”.
Buffo, ma vero!
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