Altruisti si diventa

Altruisti si diventa

Pensaci Su…
2018-10-04 15:44:54

Tratto dall’ultimo libro di Don Chino ” Tracce di moralita’ ”

Altruisti si diventa

Altruisti non
si nasce, ma si diventa con una buona preparazione. Il primo impegno consiste
nello stare a contatto con gli altri. Il volontariato promuove la cultura
dell’altruismo e della generosità, partecipando attivamente alla condivisione
dei problemi. Una compartecipazione solidale, ragazzi e ragazze, profondamente
motivata. Questa disposizione interiore o sensibilità all’altruismo può avere
radici religiose, etiche, umanitarie, sociali, politiche e culturali. Non basta
una generosità velleitaria, occasionale, che mette in mostra una generosità
apparente. L’altruismo deve essere presente in noi come spinta, motivazione,
promozione del bene sociale. Non può ridursi ad alcune azioni sporadiche,
interventi di emergenza che, seppur validi, non costruiscono una mentalità
altruistica. L’altruismo è un tratto della nostra personalità che si ottiene
attraverso esperienze educative.

Personalità altruista

L’agire
solidale, certamente, è un tema complesso, che non va considerato come un insieme
di comportamenti altruistici messi in atto nelle calamità o nelle disgrazie
sociali. Si è solidali interiormente: ossia c’è un modo di pensare solidale che
promuove attenzione, cura verso gli altri. Teniamo sempre presente che la
caduta delle ideologie e delle motivazioni religiose ha dato origine a una
cultura individualista, relativista, in cui si favorisce una solidarietà più
immaginaria che reale. Viviamo purtroppo in un’epoca in cui regnano
l’inconsistenza e l’effimero di tutto ciò che si pensa e si compie. Tutto
cambia troppo rapidamente e nulla sembra superare la prova del tempo. Le azioni
che intraprendiamo mancano di resistenza, di continuità, non hanno durata, sono
prive di spina dorsale. Non siamo corazzati per un lungo periodo di disponibilità
solidale. Intervengono spesso motivazioni personali a interrompere la
partecipazione e la collaborazione. Ha il sopravvento, soprattutto, quel
“reflusso nel privato” legittimato da una mentalità prettamente basata
sull’utile e non sul bene. Quel “pensa ai tuoi problemi” o “fa quello che ti
piace” risuona come un monito a curare il proprio “campicello”. 

Solidarietà una tantum

Qualcuno ha
scritto che siamo altruisti “una tantum”,
come se la nostra generosità fosse pilotata unicamente da interventi di “pronto
soccorso” nelle calamità naturali o sociali (terremoti, nubifragi, attentati e
altro). Voi stessi, ragazzi e ragazze, siete descritti dai media come i
soccorritori di emergenza: “gli angeli del fango”, “la gioventù solidale”, “I
buoni samaritani”. Ciò che vale per il singolo, si rispecchia anche nelle
associazioni, che faticano a strutturarsi e organizzarsi per assicurare una
solidarietà continuativa.
Del resto,
non è semplice mantenere viva nel tempo una cultura altruistica, quando la
realtà attorno a noi e nella quale siamo immersi cambia rapidamente, è confusa
e contraddittoria. Se negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso il
contesto in cui ci si muoveva era più ideologizzato e politicizzato con aree
politiche solidali, ma anche più semplice da interpretare, oggi non è più così:
tutto è più confuso, soggettivo, parcellizzato. Caduti i valori espressi
attraverso l’ideologia e la religione, il mondo non è migliorato: ci sono più
poveri, l’ambiente è maggiormente devastato, la sofferenza delle persone non
diminuisce, le disuguaglianze aumentano. L’inconsistenza in cui viviamo,
infatti, ha reso tutto più “privato”. Questo è il problema morale, purtroppo
taciuto.

La crisi in atto

Sono in
crisi, cari amici, la solidarietà e la partecipazione sociale. Sembra che
l’uomo del nostro tempo pensi solo a sé e favorisca ciò che gli è utile. I
valori sociali di collaborazione e condivisione si riducono a un miraggio, a un
insieme di affermazioni verbali. Non c’è spazio per l’altruismo e la
solidarietà, perché l’attenzione è riservata al profitto personale. È invece
più frequente il principio che salvaguarda gli interessi personali e il
successo del singolo gruppo economico, magari a scapito di altri. Il nostro
fare, costruire e progredire devono avere presente il bene sociale, cioè di
tutti. Il menefreghismo dilagante si regge su una visione miope della società
che promuove il benessere di pochi e la povertà di molti. La crisi in atto non
è per niente economica, produttiva: è soprattutto morale. A livello politico si
accetta e legittima che i beni prodotti grazie anche alle tecnologie avanzate
siano solo di alcuni, a scapito della maggioranza dei cittadini. La causa della
povertà e della miseria tra i popoli va cercata nel monopolio dell’utile.
Ritornano con forza nella nostra mente le parole di Gesù: “Chi ha due tuniche ne dia una a chi non l’ha e chi ha da mangiare
faccia altrettanto”.

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