07 Ago QUEL PICCOLO MONDO DI IERI : Come si mangiava
L’opinione di Don Chino
2018-07-25 08:57:00
“I ricordi che ci riportano nel passato hanno qualcosa da suggerirci, da insegnarci. Conservano esperienze, desideri raggiunti, ideali che solo il futuro ha potuto accertare. Nel mio piccolo mondo di ieri, povero di cose e ricco d’umano, ho conosciuto persone, vissuto fatti che hanno lasciato in me il desiderio di correre verso il futuro con in mano la fiaccola accesa.” Don Chino Pezzoli
Come |
Le abitudini alimentari
all’inizio del ‘900 erano assai diverse da quelle di oggi. L’alimentazione,
semplice e insufficiente, si basava sui prodotti che la terra offriva. Se una
brutta stagione, però, rovinava il raccolto, si profilava lo spettro della
fame. Durante la giornata si consumavano generalmente tre pasti. Al mattino si
consumava una colazione con latte o brodo avanzato la sera prima e fettucce di
polenta o croste di pane. Il pranzo di
mezzo giorno era quasi sempre una seconda colazione ed era tanto frugale, che
si consumava spesso in piedi. Si mangiava con le mani in un unico piatto di
creta e le dita venivano pulite di tanto in tanto con pezzetti di pane.
Il pranzo principale
per i contadini era quello della sera, al ritorno dal lavoro dei campi, quando
alla luce incerta del lume ad olio si consumavano i consueti cibi: erbe di
campo e i legumi cucinati sul fuoco in recipienti di terracotta. Le erbe spontanee che generalmente si
consumavano erano quelle di stagione: cicoria, zucche, zucchine, finocchi,
fagioli, patate, insalata, pomodori, piselli, lentiche.
Particolarmente consumati
erano i “cardi” di cui si consumavano solo i gambi, cotti assieme ai fagioli. I funghi raccolti nei boschi e cucinati al fuoco con pochissimo
olio erano il piatto prelibato. Assieme alle verdure si consumava l’immancabile
minestra o minestrone di brodo ottenuto con pezzetti di lardo o con qualche
osso di bovino comperato a basso costo dal macellaio. Di domenica si mangiava a mezzogiorno la pasta
col pomodoro
o con olio, aglio, peperoncino e pan grattato, la cosiddetta “pasta condita”.
La carne era sulla
tavola delle famiglie povere solo quando una bestia fosse deceduta o incidentata
al pascolo o comperata dal macellaio a basso prezzo. Si mangiava carne, per lo più di ovini, caprini,
conigli, galline nelle grandi occasioni, quali battesimi e matrimoni e feste
solenni. Per queste circostanze la pasta, che costituiva sempre il primo
piatto, veniva cotta in grandi caldaie e poi colata in enormi cesti di canne
intrecciate.
Il pane non mancava mai
e solitamente veniva preparato in casa. Il più ricercato e costoso era il pane
di grano, ma abbastanza diffuso era anche quello fatto con farina di granturco
di cattivo sapore e poco digeribile. Si
faceva uso anche di pane d’orzo o di segale dai chicchi piccolissimi dai quali
si ricavava una farina scura, che si usava anche per confezionare pasta e
dolci. Fare il pane in casa era quasi un rito a cui partecipavano non solo le
donne della famiglia, ma anche le comari del vicinato.
Si iniziavano i
preparativi la sera. Le massaie, dopo avere lavato accuratamente le mani e
cinta la testa con un fazzoletto, si facevano il segno della croce, setacciavano
la farina alla quale univano il lievito che scioglievano in acqua tiepida. Impastavano,
quindi, il lievito cosi disciolto in circa un quinto della farina destinata al
pane, lavorando bene l’impasto, perché si amalgamasse. Il giorno dopo si alzavano di buon’ora,
aggiungevano la rimanente farina all’impasto della sera prima e lavoravano la
pasta per circa tre ore, unendovi il sale e l’acqua necessaria. Quando la pasta
era pronta, la dividevano in pezzi a cui davano forma tondeggiante, allungata o
a ciambella. Mettevano, quindi, le forme cosi preparate nel letto a lievitare
tra due panni, con sopra delle coperte di lana.
Un’ora prima che il
pane fosse cotto si accendeva il forno. Quando la bocca di
esso diveniva bianca, significava che si era raggiunta la temperatura adatta.
Si toglievano le braci, parte delle quali erano tenute da parte per essere
messe davanti alla “chiudenda”, la lastra di ferro, che chiudeva la
bocca del forno. Poi con una specie di scopa fatta di stracci bagnati, si
puliva bene il forno delle ultime braci e della cenere con movimenti veloci,
perché il calore non si disperdesse. La donna addetta al forno poi controllava
la cottura del pane. Il profumo del pane appena sfornato rallegrava piccoli e
grandi.
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