07 Ago I GRANDI MAESTRI DELL’UMANITA’ – Fedor Dostoevskij
L’opinione di Don Chino
2018-04-04 09:38:25
Lo scrittore che voleva risolvere l’enigma uomo
Scrittore russo nasce
nel 1821 a Mosca, muore nel 1881 a San Pietroburgo. Già all’età
di 18 anni il futuro scrittore scrive al fratello Michail: “L’uomo è un enigma che deve essere risolto, e chi va alla ricerca
della soluzione per tutta la vita non può dire di aver sprecato il proprio
tempo; io mi dedico a questo enigma poiché voglio essere un uomo”.
Nel 1844 Dostoevskij riesce a ottenere il congedo da
ufficiale per dedicarsi interamente alla letteratura e l’anno successivo esce
il suo primo romanzo, Povera gente. Influenzato da Balzac e Gogol´, esso ha come protagonista un
povero impiegato che tenta di recuperare la propria dignità umana schiacciata
dalla gerarchia e dalle convenzioni sociali. Il romanzo viene accolto bene
dalla critica del tempo, molto attenta al valore sociale della letteratura.
A partire dal
1847 Dostoevskij frequenta un gruppo di giovani impegnati nella critica della
società russa e soprattutto della servitù della gleba; arrestato nell’aprile
1849 con molti compagni, lo scrittore viene condannato a morte, condotto al
luogo dell’esecuzione e solo all’ultimo momento graziato e spedito in Siberia
ai lavori forzati: l’attesa della fucilazione imminente verrà rievocata più volte
da Dostoevskij. Afferma che attraverso
tale esperienza lo spirito umano
si rafforza perché riconosce il vero valore della vita.
Fondamentale è anche l’esperienza dei lavori forzati
(in russo katorga) che Dostoevskij sconta dal 1850 al 1854, vivendo
fianco a fianco con rappresentanti di un’umanità che nessuno scrittore prima di
lui aveva mai neanche intravisto. Scriverà poi: “Fra i criminali ho riconosciuto finalmente degli uomini”; e
ancora: “Ci sono caratteri
profondi, forti,
La fine dell’esilio coincide con un periodo di grande
fermento: il nuovo zar Alessandro II concede più libertà all’opinione pubblica
e promette l’abolizione della servitù della gleba. Dostoevskij partecipa con
entusiasmo al nuovo clima e fonda insieme a suo fratello Michail la rivista “Il tempo”, dove per
più di due anni pubblica le sue opere (fra cui spicca il romanzo Umiliati e
offesi) ed elabora la teoria del “ritorno al suolo”: dopo secoli
di divisione e ostilità, in Russia la minoranza privilegiata deve riconciliarsi
con la massa del popolo.
Le aspettative di Dostoevskij vengono però deluse: i
contadini, liberati dalla servitù nel 1861, sono mantenuti in una condizione di
sfruttamento economico (le terre restano in gran parte agli ex proprietari) e
dalle riforme non nasce una società più democratica e solidale, ma al contrario
il paese cade sempre più in balia di grandi gruppi di speculatori.
Le amare esperienze politiche e personali tolgono a
Dostoevskij la fiducia nella capacità dell’uomo di conseguire la felicità con
le proprie forze, e lo scrittore finisce per aggrapparsi alla religione: “La vita è una continua lotta fra l’impulso
all’egoismo e un istinto alla solidarietà e all’amore che non si può spiegare
razionalmente ma che è ispirato direttamente da Dio: “Il diavolo lotta con
Dio, e il loro campo di battaglia è il cuore degli uomini”.
Afferma che la
civiltà europea è troppo cinica e individualista
per poter fare a meno della violenza e dello sfruttamento; non così il popolo
russo, che sotto la scorza della miseria e dell’ignoranza ha saputo conservare
l’istinto della solidarietà: “Diventare
un vero russo significa forse pronunciare la parola definitiva della grande
armonia universale, della concordia fraterna fra tutti i popoli secondo la
legge evangelica di Cristo”. A trovare questa “parola
definitiva” Dostoevskij ha dedicato il suo talento e la sua vita.
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