LE PERIFERIE DELL’ESISTENZA

LE PERIFERIE DELL’ESISTENZA

Agenda
2014-04-06 10:37:22

Presentiamo la Traccia della Conferenza tenuta da don Chino presso l’ “Istituto Beata Vergine” di Cremona
Se Giovanni Paolo II chiedeva, più che legittimamente, alla
chiesa di essere sempre più casa di comunione per tutti nessuno escluso, per
vincere la solitudine, papa Francesco ci chiede di andare, uscire, cercare
quanti abitano nelle infinite periferie del mondo e dell’anima per fare
comunione con  chi è solo. 

Quante volte ci siamo sentiti dire che la chiesa o è
missionaria o non è chiesa. Papa Francesco ribadisce questa verità, precisando,
evidentemente con il supporto del Vangelo, che la missione è orientarsi
prevalentemente verso le periferie dell’uomo. 
«È necessario uscire da se stessi – ha detto il Papa – e da
un modo di vivere  stanco e abitudinario,
dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere
l’orizzonte dell’azione creativa di Dio».

 

Bellissimo l’invito di
papa Francesco a uscire da se stessi e mettersi in viaggio verso l’altro per
avere un incontro una comunicazione che spacchi il “silenzio umano” che
attanaglia la mente e inaridisce il cuore.

 

La solitudine è
ovunque, anche se nelle periferie delle nostre grandi città diventa pensante,
insopportabile. Mi vengono in mente i versi del poeta Quasimodo. “Ognuno sta
solo sul cuore della terra, trafitto da un raggio di sole ed è subito sera”.
Sì, la “sera” il buio dell’isolamento. 
Quanta solitudine!

 

La solitudine si
avverte quando si entra nei caseggiati delle nostre periferie dove ogni persona
sembra dover difendersi dagli altri, spesso sconosciuti, anche se vivono sullo
stesso pianerottolo o nella porta accanto.

 

Non di meno si coglie
l’isolamento quanto si cammina lungo le strade: ognuno è solo, va verso il
mezzo di trasporto, il supermercato, senza un cenno di saluto. 
Nelle
nostre periferie le persone sono sempre più sole. I giovani con i loro
schiamazzi notturni forse vogliono socializzare o meglio massificare; gli
adulti parlano con il cane al guinzaglio mentre transitano lungo i marciapiedi;
gli anziani scostano le tende delle finestre per seguire con lo sguardo triste
il traffico stradale. 
Solo
i bambini giocano ai giardinetti insieme e lasciano che le loro voci e sorrisi
si espandano come note di gioia. L’estendersi
della periferia pone una domanda: è possibile un recupero della
dimensione umana e di modalità di vita associata più civili e giuste? 
Il messaggio sorprendente

Il  messaggio sempre
sorprendente della chiesa. radicato nella novità evangelica, sta nella forza
dell’amore. Benedetto XVI con l’enciclica “Deus caritas est”  mette la chiesa in movimento per vivere la
carità, tirandola fuori dagli angusti spazi in cui spesso è  relegata la sua azione di bene. 

Certamente dobbiamo essere grati per quanto si vive nella
chiesa da parte di molti testimoni della carità che con disponibilità e
generosità, spesso nascosta, rispondono positivamente alle richieste di tanti
poveri soli che chiedono una presenza fraterna, un aiuto nella sofferenza.

 

C’è pero qualcosa di
“istituzionale” che frena i credenti e le persone sensibili a uscire per andare
oltre il recinto parrocchiale, andare verso chi vive nei caseggiati delle
periferie, per le strade dove la persona non conta e il messaggio evangelico
dell’amore non arriva. 
Occorre andare oltre 
Papa Francesco ci chiede di andar oltre, di non essere
soltanto chiesa impegnata a rispondere alle domande di chi è con noi, ma di
essere chiesa pellegrina che va incontro alle persone dimenticate, agli ultimi
che vivono soli ai margini della nostra società.  

Andare verso, come li chiamava Madre Teresa di Calcutta, “i
più poveri dei poveri”. È bello ascoltare le parole di papa Francesco che
propone la dinamica del cammino verso l’altro.

 


Il papa sogna una
chiesa leggera, in movimento, meno chiacchierona; una chiesa consapevole che
Dio già vive nelle nostre città e ci costringe a uscire e andargli incontro per
scoprirlo, per costruire relazioni di vicinanza, per rendere possibile la sua
presenza attraverso l’annuncio e  il
fermento della sua Parola. 

La
speranza dell’uomo saggio 
Nonostante
il quadro inquietante che emerge dall’analisi delle grandi trasformazioni
planetarie e dal loro impatto sulle singole città e periferie, è necessario un
invito a pensare diversamente la
periferia, la strada. Infatti, al di là delle miserie del presente rimangono aperti spazi di speranza. 
L’uomo
saggio ha lo sguardo, la compassione, la cura del samaritano verso il povero.

  


Lo
stile del Samaritano

  

Il Samaritano “lo vide”

Gesù poteva presentare subito il
buon esempio del Samaritano, e invece presenta anche quello cattivo dei due
uomini che, in ragione del loro compito religioso, avrebbero dovuto essere
particolarmente pietosi e pronti nel farsi prossimo. Perché? Nessun ruolo, fa
sapere Gesù, è garanzia di una religiosità autentica e di una carità secondo il
cuore di Dio, se ciascuno non coinvolge il suo cuore.

 Il credente per primo ha sempre bisogno di
conversione per essere solidale: anzi, quanto più l’uomo ha la grazia della
fede, tanto più deve implorare su di sé la misericordia, la carità e vigilare
sulla propria fragilità. 


I due viandanti che precedono il Samaritano
vedono, ma girano lo sguardo altrove: succede quando non vogliamo coinvolgerci,
quando non vogliamo “perdere” tempo perché abbiamo premura, abbiamo molte cose
da fare.

  

“Ne
ebbe compassione e gli si fece vicino”

 

 

Esiste un vedere insistente che rivela più la curiosità
che la partecipazione.

 Lo sguardo del Samaritano muove l’anima e gli
fa riconoscere nell’altro non uno sconosciuto, ma un uomo come lui sul cammino
difficile e insidioso della vita.

Apre il cuore alla decisione: quella
di condividere la sventura, di entrarci dentro senza timore di sporcarsi, di
perdere qualcosa del proprio tempo e della vita. Egli  assume il destino dell’altro.

In questo movimento come non vedere
il cuore di Dio che si commuove per ogni uomo ferito e senza speranza? Cristo è
il cuore di Dio: in Lui la misericordia viene svelata e offerta al mondo. 

“Si
prese cura di lui” 

In questa espressione Gesù riassume
alcuni gesti che il samaritano compie e che vengono raccontati dal Vangelo:
“gli fasciò le ferite versandovi olio e vino…caricatolo sul suo giumento lo
portò alla locanda…estrasse due denari e li diede all’albergatore…ciò che
spenderai di più te lo rifonderò al mio ritorno”.

 Veramente il samaritano si prende cura, perché
pensa a tutto: non solo al presente, ma anche al futuro.

 La vita dell’uomo, infatti, non è circoscritta
a pochi momenti, ma dura nel tempo. La carità cerca di guardare lontano. Nel
gesto di portare il poveretto alla locanda e di affidarlo alle cure di altri,
il samaritano riconosce che non si può fare tutto da soli.

Non basta la buona volontà per
condividere situazioni difficili e assumerle. Occorre farsi aiutare dagli
altri, dalla Comunità.

  


Per concludere

  

Le opere di carità bisogna farle e farle bene,
con cura, affinché l’altro si senta custodito: in questo senso subentra la
bellezza con i suoi molteplici linguaggi. L’ambiente, la tavola, i modi, gli
abiti,…tutto ciò che il povero incontra deve essere efficiente e puntuale, ma
non squallido: la bellezza – fatta di ordine, pulizia, garbo…- nutre quanto il
pane.

Sentire che qualcuno ha fiducia in noi vuol
dire ritrovare il futuro di cui le circostanze ci avevano espropriato,
significa raccogliere energie dormienti, far rifiorire il coraggio, la forza di
guardare avanti dicendosi: ce la posso fare!

 Mounier
scriveva: “Io tratto il prossimo come un oggetto quando lo tratto come un
assente, un repertorio di dati di cui servirmi (…) quando lo catalogo
arbitrariamente, ciò che, ad essere precisi, significa disperare di lui”.   

 

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