16 Nov Lo sguardo basso
Nel romanzo di Michele Serra dal titolo Ognuno potrebbe, la fidanzata del protagonista
finisce al pronto soccorso per colpa di una strana malattia chiamata sindrome dello
sguardo basso: “Chi ne è afflitto può venire investito da un camion o precipitare in un buco
sul marciapiedi semplicemente perché la testa è china sullo schermo dello smartphone
invece di guardare avanti”. L’uso eccessivo e prolungato dello smartphone o egofono
(come l’ha ribattezzato Serra nel suo romanzo) oltre a farci sbattere contro un palo ha altre
conseguenze negative? Le affermazioni che seguono sono di Roberto, laureato in scienze
della comunicazione.
“Partecipare a una festa senza lo smartphone in tasca è come essere degli alieni arrivati
sulla Terra. La nostra comunicazione e i movimenti sembrano scorrere su un canale
diverso, su un binario morto. La nostra posizione ci appare come se ci affacciassimo al
mondo da una finestra nascosta, dove gli altri ignorano la nostra presenza. Osservate per
favore la gente che vi avvicina senza guardarvi in faccia perché intenta con lo sguardo sul
display del telefonino che compie gli stessi gesti, che parla allo stesso modo, che si
assomiglia sempre più.
Tutti uguali, omologati nei gesti e anche nelle affermazioni. Anche i bambini, per
emulazione; sembra essere per loro l’unico gioco preferito premere quei tasti, fissare
quelle immagini, mentre i genitori addentano l’aragosta al ristorante. Prima i bambini
disegnavano, scrivevano su un pezzo di carta, ora seguiti dal sorriso ebete dei genitori
‘smanettano’ il cellulare, sentendosi dire quel bravo, bravissimo, chissà di che cosa…
Quello specchietto appoggiato sul palmo della mano non ritrae il nostro volto, ma immagini
di altri volti, messaggi. Per certi versi è uno specchio magico perché ci palesa il mondo,
dove purtroppo noi ignoriamo la presenza degli altri e loro la nostra. Sempre più spesso,
quando osserviamo l’umanità che ci circonda e che ci avvicina senza degnarci di uno
sguardo, ritroviamo uno stile comune di stare insieme o meglio di non stare. Eppure
compiamo gli stessi gesti, parliamo allo stesso modo, siamo vicini e distanti. Non solo, gli
smartphone ormai fanno parte della relazione delle persone e modificano il loro
pensiero, riducono la visione del mondo, impoveriscono anche l’eloquio e la qualità stessa
delle relazioni.
Quando ci connettiamo con gli altri, siamo soddisfatti perché raggiungiamo amici e parenti
in capo al mondo, ma non facciamo altro che allontanarli e possibilmente si rischia di
essere più stupidi. Basta osservare che spesso padre e figlio seduti accanto in attesa
dell’imbarco aereo sono fissi sullo schermo e commentano la partita di calcio giocata dal
genitore sul telefono. Parlano con slogan e il ragazzo non riesce a produrre una frase di
senso compiuto, usa parole mutilate. Il padre uguale. Non si guardano, il telefono è uno
spartiacque affettivo tra loro. Così pure la coppia seduta al tavolino del bar. Sono giovani,
studiano entrambi, parlano per circa venti minuti del profilo di un’amica di lei, ripetono
apprezzamenti e difetti. I loro ragionamenti si basano sul nulla.
Ma davvero si può perdere tempo con questo aggeggio in mano ciarlando su alcune
immagini? Questo aggeggio anche in famiglia sostituisce ogni conversazione: figli e
genitori con il ditino appoggiato al display si ignorano, intenti a mandare messaggini e a
riceverli. Isolati in casa? Pare di sì.
Vi ricordate quando è stata l’ultima volta che qualcuno vi ha raccontato una storia,
un’esperienza senza tirare fuori il telefonino per farvi vedere le foto? Non lo ricordate
perché ogni volta che un familiare vi ha parlato di come ha trascorso le vacanze c’era
sempre di mezzo le foto del telefonino. In questo modo viene meno il linguaggio, le
riflessioni, la comunicazione. Si è sempre più isolati, pur essendo con gli amici, i familiari, il
partner. È non avere nessuno con cui parlare sul serio, qualcuno con cui confidarsi, a cui
sentirsi vicini.
Una delle beffe di Facebook è stata quella di appropriarsi del termine condivisione,
quando in realtà con gli altri esseri umani non si è capaci di condividere quasi più niente.
Neanche un’espressione affettiva ci si comunica. Sono molti i ragazzi e le ragazze che si
allontanano dal tavolo per “smanettare” con il telefonino. In quanti sono più focalizzati a
fare la foto del piatto e a postarla sul proprio profilo? Come se le persone con cui si
trovano fossero solo un tramite per rappresentare una vita parallela che è la loro, ma che
non lo è fino in fondo, perché mentre la stanno vivendo non sono veramente lì con la testa
e con il cuore, ma sul telefono.
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