07 Ago I GRANDI MAESTRI DELL’UMANITA’ – Charles de Foucauld
L’opinione di Don Chino
2018-04-11 08:30:21
Nato a Strasburgo il 15 settembre 1858, morì a Tamanrasset 1 dicembre 1916.
Chi era Charles de Foucauld? Il rampollo di una nobile famiglia
militare francese, cattolica, che a 6 anni perde entrambi i genitori. Il padre
muore di pazzia in manicomio. Questo segna un punto fondamentale della sua
biografia. Diventa inquieto, vive una giovinezza alla ricerca del piacere,
viene cacciato dall’esercito francese per mal disciplina, poi decide di andare
in Marocco per esplorare una zona sconosciuta e quest’impresa gli vale una
medaglia d’oro dalla Società di geografia di Parigi. Qui resta impressionato
dalla fede dei musulmani e dal loro modo di pregare, in particolare i mistici
sufi.
A 30 anni torna a Parigi per ricevere il premio e va
nella chiesa di Sant’Agostino dove si converte. Tornato alla fede vuole
diventare religioso, e sceglie la vita più austera e dura: si fa monaco
trappista che lo porta a vivere in Francia e poi in Siria. Prima di emettere i
voti perpetui viene mandato a vegliare un morto e scopre che i vicini di casa
sono più poveri di lui, che è un monaco trappista.
Chiede e ottiene di lasciare la trappa e va a vivere a
Nazaret come domestico delle Clarisse dove vive in una capanna, povero e
nascosto. La badessa s’accorge della sua profondità interiore e lo convince a
diventare prete. Dopo l’ordinazione nel 1901 sceglie una zona del deserto del
Sahara dove non ci sono preti.
Per questi 15
anni vive vicino alle guarnigioni francesi di stanza in Algeria e si spinge nel
deserto fino al villaggio tuareg di Tamanrasset, dove impara la loro lingua per
annunciare il Vangelo. I musulmani, ripete, non devono essere convertiti ma
occorre avere con loro relazioni buone e fraterne».
In cosa consisteva la sua spiritualità da
“figlio del deserto”? Quando si
converte è conquistato da una frase molto amata del suo padre spirituale:
“Gesù, quando si è fatto uomo, ha preso l’ultimo posto che nessuno gli potrà
togliere”. Tutta la vita di fratel Carlo è segnata dalla volontà di mettersi
all’ultimo posto e accanto a quelli che vivono all’ultimo posto. “È figlio del deserto perché figlio del
vento, dell’acconsentire alla realtà così com’è di realizzarsi”.
Quali sono le parole chiave
che aiutano a comprendere la sua opera? Tre parole: amare, servire e pregare. L’amore è la
cosa più importante perché è l’immagine di Dio. Fratel Carlo sceglie come
simbolo sull’abito religioso il cuore sormontato dalla croce. Il suo motto era:
“Non amerò mai abbastanza”. In due
sensi: nell’amore verso Dio, pregando, e nell’amore verso il prossimo, servendo.
Perché, come ha detto
Benedetto XVI, la sua vita è «un invito ad aspirare alla fraternità
universale?. Di fatto per fratel Carlo la santità
coincide con la fraternità. Dopo la conversione pensa che per diventare santi
bisogna isolarsi in un monastero. Poi leggendo il Vangelo si accorge che la
santità non è separazione dal mondo ma fraternità universale. Il rapporto che
intesse con il mondo islamico rappresenta per noi una sfida perché permette di
trovare con questi fratelli un dialogo senza però convertirli. Ripeteva:”Voglio essere il piccolo fratello
universale. Il fatto stesso che l’altro sia accanto a me lo rende mio fratello”.
La sua
morte. La sua casa, sempre aperta a tutti,
viene saccheggiata da predoni e in questo assalto resta ucciso. Il cadavere fu
ritrovato presso l’ostensorio. Fratel Carlo non muore come testimone appassionato dell’amore che si
dà fino alla fine. Con lui c’è un’evoluzione dell’idea stessa di martirio:
donare la vita fino al sangue ma senza un carnefice. La sua morte ha
rappresentato un modo diverso di vivere il martirio.
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