03 Nov Il grande silenzio
Raccontò una volta Vittorio Messori che, al momento di pubblicare il suo libro, Scommessa sulla morte, i responsabili della casa editrice S.E.I. di Torino rimasero disorientati e il capo redattore disse: “No, non possiamo mettere la parola morte in copertina!” Lo scrittore ricorda: “Esplose addirittura una rivolta e mi chiesero di cambiare titolo perché, secondo loro, librai e lettori, leggendo quel vocabolo, si sarebbero toccati i genitali o avrebbero afferrato altri amuleti”. Messori non cedette, il libro uscì e se ne vendettero subito 350.000 copie. Afferma, a proposito, l’autore: “Ho tenuto duro perché Scommessa sulla morte sostiene che espellere o rimuovere la morte è il percorso migliore per avvelenare la vita”.
Sono d’accordo con Messori. La morte si presenta come un problema scomodo ma, nel contempo, affascinante. Guai a parlarne in un salotto fra amici! Si corre il rischio di venire zittiti dai terrorizzati presenti che si affretterebbero, come disse Messori, a esibirsi in gesti apotropaici accusandoci, di essere iettatori. Infatti, oggi è vietato parlare della morte e dei morti. Invece la morte è onnipresente nel cinema, nelle fiction, nei video, nei giochi legati all’aldilà e all’horror, affascinando soprattutto i più giovani.
È sempre Vittorio Messori a puntualizzare che “oggi i bambini vengono iniziati fin dalla più tenera età alla fisiologia dell’amore e della nascita, ma quando non vedono più il nonno e chiedono dove sia, si risponde loro che è partito per un paese molto lontano e che riposa in un bel giardino dove cresce il caprifoglio”. Ma questo ostinato tentativo di negare la morte ha suscitato un’infinità di problemi filosofici ed esistenziali ai quali l’umanità non è ancora stata capace di trovare una soluzione.
La morte, cacciata dalla porta, è sempre riuscita a rientrare dalla finestra, facendo capolino nella coscienza degli uomini, anche se questi hanno cercato di non pensarci. Il primo è stato Epicuro, il filosofo greco, con una frase divenuta celebre: “È inutile parlare della morte, perché quando ci siamo noi non c’è la morte e quando c’è la morte non ci siamo noi”. In epoca moderna il filosofo tedesco Martin Heidegger ha affermato: “La morte è qualcosa di indeterminato che certamente un giorno o l’altro finirà per accadere, ma intanto non è ancora presente e quindi non ci minaccia”.
La negazione della morte riafferma sempre l’innegabile sua presenza. Quando si parla di morte l’angoscia ci assale e il disorientamento di fronte al “nulla eterno” spaventa, allora si cerca di riempire il presente di un attivismo sfrenato. Non serve per allontanare quest’ombra che cammina al nostro fianco, non serve non pensare a questo terribile silenzio.
Questo silenzio assoluto e impenetrabile, severo e serio allo stesso tempo è il silenzio della morte, questa realtà non slegabile dalla vita, questa grande domanda capace di suscitare, ogni volta che la si pensa o se ne fa esperienza, altre mille domande. La morte è silenzio, per chi muore e per chi resta. Chi muore tace, con la lingua, con il corpo. Chi resta piange, parla, si sfoga, cerca di elaborare; ma dentro sente silenzio e, forse, di silenzio ha intimamente bisogno.
Eppure oggi il silenzio attorno alla morte è più un mutismo, perché non se ne parla affatto. È naturale: chi vorrebbe parlare della morte, farne un pensiero o un oggetto di riflessione? Secoli addietro, soprattutto in ambito monastico, si era soliti meditare sulla morte almeno una volta al giorno e il monaco pronunciava per sé e per gli altri un messaggio realistico: “Ricordati che devi morire”. Oggi i messaggi sono diversi, celebrano l’attimo fuggente immaginandolo eterno.Certamente in un clima di crescente secolarizzazione e scristianizzazione si potrebbe affermare che lafine è stata staccata dalfine: Dio è stato estromesso anche dal discorso sulla morte, per cui l’uomo si ritrova, senza meta e senza speranza a piangere i propri morti senza alcuna certezza sul loro “destino”. Tale affermazione, tuttavia, non solo non basta, ma può dare adito a pericolosi riduzionismi.
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