07 Ago QUEL PICCOLO MONDO DI IERI : I pastori
L’opinione di Don Chino
2018-10-18 09:27:32
“I ricordi che ci riportano nel passato hanno qualcosa
da suggerirci, da insegnarci. Conservano esperienze, desideri raggiunti, ideali
che solo il futuro ha potuto accertare. Nel mio piccolo mondo di ieri, povero
di cose e ricco d’umano, ho conosciuto persone, vissuto fatti che hanno
lasciato in me il desiderio di correre verso il futuro con in mano la fiaccola
accesa.” Don Chino
Pezzoli
I pastori
Negli anni cinquanta del secolo scorso, ero appassionato di alpinismo.
Insieme ad alcuni amici alla domenica ci incamminavamo verso le cime preferite.
A quota 1000 – 1500 c’erano diversi alpeggi con i pastori che custodivano
bovini, ovini, caprini.
Volevo conoscere la vita umile dei pastori, entravo quindi nelle loro baite
diroccate per conversare. L’abitacolo era composto di un solo locale con il camino
di pietre, dove il fuoco lambiva il paiolo del brodo o della polenta. Un luogo
fumoso, l’aria pressoché irrespirabile.
Attorno al camino c’era un uomo con le mani rugose e un paio di ragazzi in
attesa di una fetta di polenta e un pezzetto di stracchino ottenuto dal latte
appena munto. Giunta a cottura la polenta fumicante, seduti sullo sgabello, il
vecchio e i giovani silenziosamente ingoiavano con voracità lo scarso pasto poi
appendevano le pentole al soffitto basso e mettevano la posateria su una tavola di
legno.
Sul pavimento di terra battuta giacevano i sacchi riempiti di paglia o
pagliericci. I pastori si buttavano vestiti per riposare alcune ore notturne. A
turno, di notte, vegliavano sui recinti dove avevano rifugiato i loro animali. Qualche
animale predatore (la volpe) poteva danneggiarli.
All’alba si alzavano e aprivano i recinti per condurre il bestiame al pascolo.
Camminavano su e giù per i sentieri e le mulattiere fino a raggiungere la
radura dove per l’intera giornata gli animali brucavano l’erba. Di solito i pastori
facevano pascolare gli armenti in prati dove scorreva un ruscello o avevano
convogliato l’acqua piovana in bacini.
Il cibo che i pastori portavano con sé era abitudinario: pane di segale, un
pezzetto di formaggio, un frutto e un fiasco con l’acqua per dissetarsi.
Stanchi e spossati dal duro lavoro facevano piccole soste durante le giornate
interminabili seduti sotto un albero con la schiena appoggiata a un tronco. Per
circa sette mesi l’anno ogni giorno si ripeteva lo stesso rito.
Da aprile a ottobre i pastori rimanevano con i loro bovini, ovini e caprini
lontani da casa: vegliavano sul benessere di loro animali, meno sulla loro
salute. Da quel allevamento dovevano ricavare il sostentamento della loro
numerosa famiglia. I prodotti erano: i formaggi le carni, la lana. Avevano con
sé i cani, addestrati per gli spostamenti degli animali e per custodire gli
stessi.
Durante il mese d’ottobre, i pastori riportavano la mandria nelle stalle
vicino alla loro abitazione. La stalla richiedeva tanto lavoro: rastrellare il
fogliame nei boschi che serviva come lettiera nelle stalle, alimentare con il
fieno gli animali almeno due volte al giorno, mungere le mucche e asportare nei
campi il letame della stalla, vigilare sul benessere degli animali, vigilare
sulle fecondazioni, assistere le vacche nel parto.
Nei mesi invernali le famiglie dei
pastori erano impegnate nel vendere i prodotti del loro allevamento e
racimolare i soldi necessari per gli acquisti essenziali: abiti, scarpe,
coperte, alimentari di prima necessità. Nonostante
le condizioni d’indigenza e di fatica a varcare il lunario, la vita famigliare
era rallegrata dalla numerosa prole.
Alla sera d’inverno per
scaldarsi grandi e piccoli si recavano nelle stalle: le donne lavoravano a
maglia, gli uomini giocavano a carte e i piccoli saltavano sul fienile. Un
piccolo mondo in cui le persone si accontentavano di quel poco che avevano.
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