07 Ago QUEL PICCOLO MONDO DI IERI : Il corteggiamento era un’impresa
L’opinione di Don Chino
2018-07-03 08:52:59
“I ricordi che ci riportano nel passato hanno qualcosa
da suggerirci, da insegnarci. Conservano esperienze, desideri raggiunti, ideali
che solo il futuro ha potuto accertare. Nel mio piccolo mondo di ieri, povero
di cose e ricco d’umano, ho conosciuto persone, vissuto fatti che hanno
lasciato in me il desiderio di correre verso il futuro con in mano la fiaccola
accesa.” Don Chino
Pezzoli
Il
corteggiamento, era un’impresa
Il corteggiamento di una ragazza a quel piccolo mondo
di ieri,poteva durare per alcuni mesi, un anno, due persino. Durava fino a
quando il giovane non chiedeva la mano della figlia al padre. Solo allora si
diceva che era fidanzato e andava in casa. Terminavano pertanto le serate
trascorse sull’uscio di casa con la mano che sfiorava la mano della ragazza,
mentre la mamma seduta in cucina sbirciava con l’occhio e con qualche
palpitazione i movimenti delle due ombre attraverso le tendine dell’uscio
leggermente scostate.
Varcata la soglia della casa, il giovane doveva fare
le cose seriamente, prepararsi per il matrimonio. Quella porta segnava il
confine tra la libertà e il matrimonio, tra il canto del cardellino tra i campi
e quello in gabbia. Finiva la possibilità di stare con gli amici, divertirsi,
sbirciare altre donne. Entrare in casa, chiedere al padre la mano della figlia,
voleva dire fare sul serio, firmare una specie di consenso con alcune
responsabilità. Il timore dello scandalo, conseguente a una eventuale rottura,
rendeva quella scelta come il sì pronunciato in chiesa. Le mormorazioni in
paese non mancavano mai e i commenti nemmeno, se un giovanotto interrompeva il
rapporto. La gente parteggiava, di solito, per la ragazza, considerata brava,
bravissima, di chiesa e lui invece ritenuto un poco di buono. I pettegolezzi poi
passavano di bocca in bocca per alcune settimane come se ci fosse stato un
divorzio, una separazione, un tradimento. Ognuno raccontava ciò che aveva
sentito dire e vi aggiungeva del suo, mandando il giovane a “pascolare” qualche
fanciulla dei paesi vicini.
I giovani poi che desideravano abbordare le ragazze
senza le estenuanti soste sull’uscio, aspettavano la notte, quando le ragazze
dormivano. Si portavano sotto le loro finestre per fare la serenata con una
chitarra e un mandolino di accompagnamento. Il suono e il canto entravano nelle
stanze delle fanciulle: “Fior d’amaranto, le donne tutte, ahimè, scordano
presto, ma c’è qualcuna che stanotte ha pianto. Vola stornello e fa la
serenata, alla più bella tra le più belle addormentata”. A questo punto la finestra
s’illuminava e la ragazza s’affacciava alla finestra semichiusa con una camicia
da notte extra-large che impediva ai guardoni pensieri cattivi.
Pure i genitori si svegliavano al suono della serenata
e rizzavano le orecchie per avvertire i rumori nella stanza accanto. Non
potevano opporsi, i canterini erano sulla strada, non sull’uscio di casa. In
cuor loro erano persino contenti che la loro ragazza avesse in dono una
serenata. Non a tutte le ragazze del paese era riservato questo privilegio di
buon auspicio per accasarsi. Le zitelle allora abbondavano nei paesi, non certo
per scelta o vocazione. I genitori quindi tifavano perché le loro figlie
trovassero un buon partito.
Le serenate, se da una parte rallegravano le ragazze
scelte, dall’altra intristivano le altre. Le escluse si facevano persino
raccomandare. Ma la scelta, di solito, cadeva su quelle ragazze del paese che
possedevano qualità somatiche appariscenti: un bel viso incorniciato dalla
bionda o bruna chioma, un seno prosperoso, gli occhi seducenti. Le “pie” che
palesavano tratti compunti, intimismi e un eccessivo rigore erano lasciate in
disparte, classificate bigotte. In ogni paese non mancava la bionda che
appariva alla finestra con la camicia da notte un po’ scollata e che mandava
saluti e baci all’allegra brigata. Era la preferita.
C’erano poi le coppie clandestine che si davano
l’appuntamento nelle vie oscure del paese, lontani dallo sguardo di qualche
megera che puntualmente avrebbe informato i genitori. Non era facile conservare
il segreto, fare in modo che gli sguardi indiscreti fossero assenti. Le strade
erano strette e qualsiasi rumore passava attraverso porte e finestre
abbondantemente fessurate. Capitava che s’aprisse una finestra all’improvviso e
apparisse una nonna pettoruta che gridava: “Ehi, che cosa state facendo?”. Non
stavano facendo proprio niente: si guardavano tenendosi stretti per mano. I
fidanzati ufficiali passeggiavano invece a testa alta in piazza tenendosi per
mano, alla presenza del fratellino di lei che reggeva il moccolo. Il fidanzato
gli dava i soldi per comperarsi le caramelle e toglierselo dai piedi. Il
ragazzo capiva il trucco e prolungava la sua assenza e così entrava nelle
grazie del futuro cognato.
Le ragazze dovevano rientrare in casa non oltre le 9
di sera. Le ritardatarie subivano un processo per direttissima dalle madri,
nonne e zie, fieramente avverse ai peccati impuri. Seguivano le solite domande:
“Ti ha toccato? Ti ha baciato? Ti ha
chiesto qualche cosa?”. Mentre facevano le consuete domande, la mamma
ispezionava dalla testa ai piedi la ragazza per accertarsi che tutto fosse in
ordine. Le mamme più zelanti nell’ispezione andavano oltre… La ragazza
imbarazzata affermava con gli occhi lucidi: “No, non mi ha mai mancato di
rispetto”. Non poteva la fanciulla contestare quella specie di sinedrio, onde
evitare divieti alle uscite successive.
Spesse volte mi chiedo se servisse tanto rigore e come
mai s’impediva ai sentimenti di manifestarsi. Forse, allora, i sentimenti umani
erano impediti da un insieme di regole e principi rigidi. Solo una vita
difficile e di sacrifici aveva senso. Sui costumi poi sentenziavano i preti:
alcuni aperti e comprensivi, altri bacchettoni. Questi ultimi, purtroppo, erano
la maggior parte e le nostre mamme (i papà un po’ meno) ascoltavano i loro
consigli educativi.
Tornando indietro, mi sembra di entrare in un mondo
diverso, chiuso, frustrante. Mi vengono però in aiuto i versi di Giovanni
Pascoli: “La nube nel giorno più nera fu quella che vedo più rosa / nell’ultima
sera”. Sì, il passato ha tante “nubi nere”, tanti comandi e divieti
incomprensibili, ma alla “sera”, al termine di questa corsa terrena, capisco
che il “buio” di ieri, di quel passato tanto diverso dal presente, ha in sé
“cirri di porpora e d’oro”. Ossia i valori di sempre.
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