07 Ago QUEL PICCOLO MONDO DI IERI Il segretario comunale
L’opinione di Don Chino
2019-05-09 14:26:34
“I ricordi che ci riportano nel passato hanno qualcosa
da suggerirci, da insegnarci. Conservano esperienze, desideri raggiunti, ideali
che solo il futuro ha potuto accertare. Nel mio piccolo mondo di ieri, povero
di cose e ricco d’umano, ho conosciuto persone, vissuto fatti che hanno
lasciato in me il desiderio di correre verso il futuro con in mano la fiaccola
accesa.” Don Chino
Pezzoli
Il segretario
comunale
Il prete, medico e
farmacista, il segretario comunale contavano tra i notabili del paese. Non so
nemmeno come si chiamasse il segretario di un paese tra le mie valli. Era una
persona sulla sessantina, distinta, con camicia, cravatta e una giacca scura
che s’accompagnava ai pantaloni ben stirati che conservano una piega
impeccabile dalla cintura in giù. Allora erano in pochi a indossare un vestito
completo di stoffa leggera o pesante.
Di solito, i poveri,
quelli che a stento varcavano il lunario, vestivano giacche e pantaloni già
usati, spesso troppo stretti e corti o troppo larghi e lunghi. Il segretario
non apparteneva alla plebe, lui sapeva leggere e scrivere con penna e calamaio
e molti si rivolgevano a lui in occasione delle nozze di un amico, di un
telegramma che non fosse il solito “auguri vivissimi” e per il santino di un
defunto che non ripetesse l’usato “padre esemplare, cittadino integerrimo”. Il
segretario aveva parole appropriate per contadini, operai, casalinghe e anche
per gente che passeggiava con il naso in su per quei quattro soldi in più.
Per il basso ceto, in
occasione delle nozze, scriveva il consueto augurio: “Sempre come oggi vi
sorrida la vita”. Per quelli del ceto medio o alto, lo sfoggio culturale non
poteva mancare: “Sia la vostra vita un incanto per sempre”. Se poi si trattava
di qualche bigotto dell’Azione Cattolica, il riferimento religioso non mancava
mai: “Siate due in una carne sola”. Per la coppia fascista come lui, desiderosa
d’ottemperare alle direttive demografiche del duce, scriveva: “Andate e
moltiplicatevi”. Il segretario però preferiva mettere a disposizione la sua
cultura per le lettere, specie quelle d’amore.
Se un giovanotto
doveva sedurre una bella donna recalcitrante, il segretario lo assicurava che
le sue missive piene di sospiri struggenti, seducevano il cuore dell’interessata.
Per ogni situazione sentimentale assicurava il cliente di possedere una
ricetta. Per l’attempato che si era invaghito di una giovane donna gli offriva
lettere ponderate: “So che coltivo un sogno impossibile, ma non posso fare a
meno di scriverle”. Se poi si trattava di un giovane che aveva vissuto nella
dolce vita e desiderava avvicinare una fanciulla pudica: “Riconosco benissimo
che i miei trascorsi possono giustificare la vostra ritrosia, ma dovreste
sapere che gli uomini “navigati”, che ne hanno fatte di tutti i colori, quando
decidono di mettere la testa a posto, lo fanno sul serio”.
Il segretario si
prestava pure a dare suggerimenti, consigli. Se una donna riferiva al
segretario che il marito aveva l’amante, il suo parere era sempre il medesimo:
“L’amore a tre dura poco”. Se invece si trattava di un uomo cornificato,
il segretario non esitava a proferire
giudizi perentori e a sentenziare l’accaduto con termini offensivi. La donna
non doveva tradire, non poteva barattare con un altro uomo il suo corpo.
Consigliava quindi il malcapitato d’intervenire, denunciare e assicurare al
rivale una manica di botte.
Nelle controversie
familiari per l’eredità, il segretario era abilissimo nell’assicurare che
avrebbe garantito a “Cesare quel che è di Cesare”. Con qualche personale
preferenza s’intende. Quando qualcuno lo tacciava d’imparzialità nel dare
consigli sull’eredità, si metteva con le mani conserte e proferiva il solito
proverbio: “La farina del diavolo va in crusca”. Chi fosse poi l’erede di tale
farina non lo diceva mai. Se qualcuno poi si rivolgeva al saggio segretario per
qualche dissesto economico commerciale, per
tranquillizzarlo gli parlava di “raffreddamento economico”, di
“inflazione monetaria”, di “crisi della domanda”. Che cosa capisse il commerciante
è difficile saperlo, certamente tornava a casa rimuginando nella sua zucca quel
“raffreddamento economico” guaribile forse con qualche aspirina.
Non risparmiava,
nelle sue consuete soste nell’osteria, tra un calice di rosso e l’altro, alcuni
giudizi categorici su certe persone del paese. Chi non aveva voglia di lavorare
era chiamato fannullone, sfaticato, mangia pane a tradimento, parassita. Chi
poi aveva idee contro il duce e il partito fascista veniva indicato come
traditore, nemico della patria, partigiano da curare con olio di ricino. Le
sentenze del segretario innaffiate dal mosto rimanevano impresse nella gente
comune e doveva passare molto tempo prima che venissero smentite.
Il suo linguaggio si
avvolgeva in eufemistici veli di prudenza, di modestia. Evitava la parola seno per non suscitare
morbosità. Il termine coscia era sostituito con quello meno erotizzante di
gamba o arto inferiore. Le donne non partorivano, davano alla luce. Gli organi
genitali li chiamava parti intime, vergogne. E il rapporto sessuale tra uomo e
donna copulazione. La gente del paese diceva che non aveva mai avuto una donna,
forse per questo il suo linguaggio sessuale era velato, scrupoloso.
Un buon uomo. Il
parroco che ufficiò le sue esequie fece un breve sermone, conservato sul
bollettino parrocchiale: “Il segretario ci ha lasciato, rimane in noi il
ricordo di un uomo, di un amico”. Sì, un
uomo che aveva buttando sui fogli di
carta parole, concetti, auguri, condoglianze. Un uomo tutto di un pezzo, fedele
al duce, al re e alla religione. Un uomo che aveva fatto un po’ di bene, a modo suo.
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