07 Ago QUEL PICCOLO MONDO DI IERI : La dote della sposa
L’opinione di Don Chino
2018-08-22 10:52:17
“I ricordi che ci riportano nel passato hanno qualcosa
da suggerirci, da insegnarci. Conservano esperienze, desideri raggiunti, ideali
che solo il futuro ha potuto accertare. Nel mio piccolo mondo di ieri, povero
di cose e ricco d’umano, ho conosciuto persone, vissuto fatti che hanno
lasciato in me il desiderio di correre verso il futuro con in mano la fiaccola
accesa.” Don Chino
Pezzoli
Sin dai
primi del novecento la famiglia che voleva dare un marito alla propria figlia, stipulava
in forma scritta i “capitoli matrimoniali”, per la “sicurezza
della dote della sposa, e dei figli che sarebbero nati… Con questo antico
atto, risalente al diritto longobardo, la famiglia della sposa concordava e
quantificava con il futuro sposo la dote e il corredo personale e per la casa.
In alcuni casi la dote era costituita da case, terreni, proprietà, oggetti
d’oro e argento, denaro.
Fino al 1945
la dote era un bagaglio indispensabile e obbligatorio per la sposa e un onere
da sostenere per la sua famiglia. Non avere la dote per una donna era una vera
e propria tragedia, un ostacolo nel trovare un marito. Ovviamente la dote era
proporzionata alle possibilità della famiglia della sposa e allo status sociale
dello sposo a cui veniva concessa.
Dopo le
nozze la dote non diventava di proprietà dello sposo ma era da lui soltanto
gestita: alla sua morte la dote veniva restituita alla moglie che da quel
momento era libera di disporne. Se invece moriva prima la moglie, senza aver
messo al mondo dei figli, il marito era tenuto a restituire la dote alla
famiglia della sposa.
In realtà
anche il marito era tenuto a dare alla moglie una “controdote” e un
mantenimento che dovevano servire alla moglie per far fronte ai suoi bisogni. Prima
della celebrazione del matrimonio, la descrizione dettagliata e il valore
totale della dote e del corredo matrimoniale erano oggetto di un atto davanti
al notaio o a una persona fidata che sapeva leggere e scrivere. Conteneva: la promessa di matrimonio; la costituzione della dote e degli assegni maritali; la
rinunzia della donna a pretese ereditarie sui beni della sua famiglia, anche se
questa rinuncia parte era facoltativa.
Spesso la
persona di fiducia compilava un elenco dove erano riepilogati i beni in
tessuti, mobili, oggetti di casa e gioielli assegnati alla sposa. Il corredo di
tessuti era composto da una parte per la casa ed una personale. Per la casa: lenzuola,
federe, asciugamani, tovaglie, tovaglioli, coperte, cuscini. La parte personale
invece contemplava capi di biancheria intima, camicie da notte di seta, gonne,
grenbiuli, camicie di tela, mantelle, fazzoletti e via dicendo.
La dote in
parte era costituita anche dal denaro, la pecunia, che il padre della sposa
consegnava allo sposo all’atto del matrimonio in una unica soluzione o in rate
stabilite da altri atti notarili. Altre volte il padre della sposa stipulava un
mutuo, cioè un atto di credito, con lo sposo in cui si impegnava a versare il
denaro entro un determinato tempo – non oltre i tre anni – e dava in garanzia un
bene, descritto in un altro atto, che veniva restituito alla risoluzione del
mutuo. Il mutuo dotale era quindi un vero e proprio credito, infatti c’erano
gli interessi e, se i termini del pagamento non venivano rispettati, le
penalità.
Molto più
complessa era la procedura se si trattava di una dote costituita da beni
immobili, perché in tal caso si decurtava il patrimonio familiare e ciò era
contrario alle modalità patrimoniali del tempo. Se comunque ciò avveniva il
bene veniva descritto in modo particolareggiato in un atto, detto docium, dove
ci si impegnava di riconsegnarlo alla famiglia di provenienza della donna in
caso di suo decesso e se dal matrimonio non erano nati dei figli.
Lo sposo rispondeva alla costituzione della dote con
dei donativi propter nuptias di minor valore. Anche in questo caso la
sottomissione della donna all’uomo è palese. Certe modalità di vita facevano
della donna, in quanto madre e moglie, una persona che apparteneva all’uomo in
tutto. Basta pensare che il matrimonio era vincolato alla dote della donna e
che poi la dote rimaneva proprietà dell’uomo. Da questo e altro si capisce il
detto popolare: “Auguri e figli maschi…”.
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