07 Ago QUEL PICCOLO MONDO DI IERI : Olio di ricino per tutti i mali
L’opinione di Don Chino
2019-05-16 07:53:46
“I ricordi che ci riportano nel passato hanno qualcosa
da suggerirci, da insegnarci. Conservano esperienze, desideri raggiunti, ideali
che solo il futuro ha potuto accertare. Nel mio piccolo mondo di ieri, povero
di cose e ricco d’umano, ho conosciuto persone, vissuto fatti che hanno
lasciato in me il desiderio di correre verso il futuro con in mano la fiaccola
accesa.” Don Chino
Pezzoli
Olio di ricino per
tutti i mali
Il medico condotto girava per le case, misurava la
febbre, ascoltava i battiti del cuore del paziente e prescriveva
inevitabilmente l’olio di ricino. Mal di pancia, mal di testa, inappetenza,
influenza, bruciori di stomaco o brufoli sulla pelle? Olio di ricino. Un olio
dall’odore repellente e dal sapore disgustoso che faceva parte del pronto
soccorso casalingo.
Una convinzione diffusa aveva stabilito che una
medicina per essere efficace doveva essere disgustosa. Essendo il dolore
qualcosa di cattivo, per scacciarlo occorreva evidentemente qualche cosa di
disgustoso, di repellente. Le mamme aggiungevano all’olio di ricino un
cucchiaino di zucchero per togliere il disgusto del farmaco.
Quando arrivarono nelle farmacie i primi purganti dal
sapore e odore gradevole, i nostri vecchi scollarono la testa con diffidenza.
Sembrava loro impossibile che un farmaco fosse come una caramella. L’olio di
ricino, anche dopo l’arrivo dei nuovi farmaci, rimase per alcuni anni il
toccasana universale. Le nostre mamme lo usavano pure come minaccia per
dissuadere i ragazzi dal fingere un mal di pancia, di testa.
Le nostre mamme infermiere ci davano il triste
annuncio in anticipo: “Domani mattina purga!”. Un rito da subire con alcuni
accorgimenti: turare con le dita il naso, portare il cucchiaio alla bocca con
una smorfia incontenibile, ingoiare in fretta il liquido e poi addentare uno
spicco di limone per sgrassare la lingua. Nelle case dei ricchi si preparava
questa purga con accorgimenti vari, si otteneva un vischioso cocktail
mischiando l’olio nel bicchiere con birra, caffè, latte e zucchero.
L’effetto benefico dell’olio di ricino scaturiva da
un’analogia con la meccanica d’allora. La vecchia macchina da cucire Singer,
infatti, la si ungeva con l’olio per renderla più agile e scorrevole. Così pure
una porta quando cigolava chiedeva olio sui cardini. L’olio era diventato,
nell’immaginario popolare, il lubrificante interiore che imprimeva alle scorie,
ferme nelle anse della serpentina intestinale, un movimento e la conseguente
evacuazione. Gli effetti erano repentini
e costringevano l’utente a sostare in prossimità di un bagno per i ripetuti
stimoli impellenti.
Un’altra medicina era l’olio di fegato di merluzzo,
somministrato prima dei pasti ai ragazzi sospetti d’esaurimento. “E’ tutta
salute”, sentenziava la mamma, mentre spiegava ai figli che conteneva il
fosforo che sviluppava l’intelligenza. Un mio amico scrisse sul suo quaderno
che da grande sarebbe diventato certamente uno scienziato perché la sua mamma
gli dava tanto olio di merluzzo.
Pur essendo odiati, i due olii, di ricino e di
merluzzo, occupavano l’inconscio collettivo come medicine: una come liberatoria
dell’intestino, l’altra come rinforzo alle meningi. Anche l’olio d’oliva guariva
gli orzaioli. Se sulla palpebra spuntava un orzaiolo, si appoggiava l’occhio
sull’estremità del collo della bottiglia dell’olio e l’orzaiolo scompariva. Gli
orzaioli allora erano abbondanti, per cause certamente igieniche, la cura però
era sempre la stessa: guardare per due o tre volte l’olio d’oliva nella
bottiglia. Pare che funzionasse.
La bronchite si curava invece con impacchi di farina
di lino. La poltiglia di farina veniva avvolta in un fazzoletto o garza e si
adagiava bollente sul petto. Scioglieva il catarro e spegneva i focolai
d’infezione, si diceva. Prima di mettere sul petto l’involucro, la mamma lo
appoggiava alla sua guancia per verificare la temperatura e evitare ustioni.
Contro le
contusioni, distorsioni, gli strappi muscolari, i dolori articolari si
ricorreva agli impacchi di acqua calda salata o a una pennellata di tintura di
iodio. Chi era raffreddato doveva bere una tazza di latte con il miele e un
goccio di grappa o cognac. Per combattere il raffreddore si usava anche il vin
brulé, una tazza di barbera scaldato con i chiodi di garofano e una buccia di
limone. E poi sotto le coperte a sudare con un berretto di lana in testa, una
sciarpa al collo mentre il naso sgocciolava.
Per le altre situazioni ritenute meno gravi si
chiedeva consiglio al medico indirettamente, tramite un’amica, una vicina di
casa. Veniva incaricata d’esporre al medico i sintomi di un paziente con tosse
e febbre da qualche settimana. Un modo diffuso per evitare di pagare i medici.
Questi curavano i pazienti con alcune competenze ed
esperienze servendosi di medicine messe a disposizione dal farmacista, sempre
le stesse. Spesso poi consigliavano di dare ogni mattina un uovo fresco a un
bambino deperito, un panino in più e un bicchiere di vino a tavola all’adulto convalescente.
Suggerivano alle mamme di “far cambiare aria” ai figli
con problemi bronchiali, portandoli almeno per una settimana al mare. Ma ciò
era impossibile, per le condizioni economiche precarie della famiglia. Un mondo
quello di ieri in cui le malattie c’erano, anche se le cure erano soprattutto
riservate alle mamme.
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