07 Ago Sobrietà come scelta
Pensaci Su…
2014-05-15 16:30:07
Forse la sobrietà ci fa paura. Noi ricordiamo i nostri nonni che hanno vissuto in condizioni precarie. Ci raccontavano di aver conosciuto la fatica del lavoro, fin da bambini e avevano ben presente la quantità di lavoro necessario per produrre i beni necessari per vivere.
Forse la sobrietà ci fa paura.
Noi ricordiamo i nostri nonni che hanno
vissuto in condizioni precarie. Ci raccontavano di aver conosciuto la fatica
del lavoro, fin da bambini e avevano ben presente la quantità di lavoro necessario
per produrre i beni necessari per vivere. L’educazione alla sobrietà era dunque
parte integrante della condizione di vita di allora ed era un valore condiviso
dalla maggior parte della società: quasi nessuno poteva permettersi lo spreco
che oggi vediamo attorno a noi. Oggi che siamo noi alle prese con l’educazione
dei figli, sentiamo tutto il peso e la difficoltà che l’educazione comporta.
Pur non vivendo la condizione di precarietà dei nostri genitori, ci poniamo
come obiettivo quello di educare i nostri figli alla sobrietà, alla semplicità
di vita, perché sappiamo che una vita troppo piena di cose non può lasciare
spazio alle persone e a Dio. Quando siamo assaliti da dubbi e paure, cerchiamo
di ricordarci che è possibile vivere bene pur disponendo di meno, anzi, forse
si vive meglio. Basta ridare ai beni il loro giusto valore e soprattutto
tornare a porre in primo piano le persone e non i beni che “il tarlo e la
ruggine consumano”.
Mi chiedo se i figli accettano questa
educazione alla sobrietà o povertà. Se si adeguano ad avere l’essenziale, le
cose che servono per una vita semplice e dignitosa. I confronti con gli amici
ci sono e in una società in cui uno vale per quello che ha, possono subire
complessi d’inferiorità. Voi genitori siete pronti a sostenere le contestazione
che anche i vostri figli vi butteranno addosso?
Da soli, certo è molto difficile. Può
addirittura diventare frustrante per i ragazzi e le stesse famiglie. Ricordo
quanto mi disse Gianni, un padre con due adolescenti. Il maggiore di 17 anni
gli fece una domanda imbarazzante: «Papà, mamma, noi siamo più poveri di alcuni
nostri amici?» E’ stato impegnativo, ma
anche appassionante spiegare loro che non erano poveri, perché avevano tutto
ciò che è essenziale alla vita e anche un po’ di superfluo, ma che dovevano sprecare
il meno possibile, per rispetto verso i beni e per aiutare i più poveri di
loro. Appare però sempre più chiaro che discorsi di questo genere e scelte di
vita che hanno una rilevanza pubblica e sociale necessitano di un supporto
comunitario: solo se le famiglie, i gruppi educativi se si mettono insieme
possono cambiare il modo di pensare, di concepire i beni materiali.
Chiaramente, ed è la cosa più importante, bisogna motivare ai ragazzi, le
indicazioni e finalità della rinuncia, facendo leva su alcuni valori. Prima di
staccare i bambini dai beni materiali, bisogna farli innamorare di qualcosa di
più grande: il senso della vita, della gratuità, del dono, dell’incontro con
l’altro, dell’amicizia”.
Mi è sempre piaciuta molto la tesi secondo cui
la sobrietà poggia su alcuni imperativi: badare all’essenziale; utilizzare
l’oggetto finché è servibile; non gettare le cose che si rompono; essere
consapevoli che ogni cosa acquistata comporta lavoro. Che cosa ne pensano i genitori di questi imperativi che fanno parte di
una educazione familiare e sociale che trova le sue radici nell’umanesimo e
cristianesimo?
Il primo imperativo, ossia badare
all’essenziale, comperare solo i beni di cui abbiamo veramente bisogno,
convinti della verità del detto: ‘Nella borsa della spesa tu spendi la tua fede
‘, mi sembra sacrosanto. Forse bisogna ritornare a pagare la spesa con gli euro
e non con il bancomat o la carta di credito. I soldi che si sborsano e che
diminuiscono nel portafoglio sono psicologicamente un avvertimento a porre
attenzione a non spendere in modo avventato e disordinato. Così pure ridurre i
consumi significa ad esempio chiedersi se l’acquisto che stiamo per fare
corrisponde ad un bisogno vero o a un bisogno indotto dalla pubblicità.
Abituare anche i nostri figli ad essere critici nei confronti della pubblicità
non è facile. Spesso la cosa che serve di più è l’ironia che banalizza certi
acquisti superflui e fa capire ai nostri ragazzi che certi acquisti sono
dettati dalle mode, da un condizionamento di massa. Proviamo a dire ai figli
che è impegnativo andare contro corrente nel settore del vestiario e delle
abitudini alimentari: aiutarli insomma a capire che un bel panino vale
ampiamente la merendina reclamizzata o che la miglior firma sui capi di
abbigliamento è la nostra fantasia, la nostra simpatia. E poi, utilizziamo lo
stesso oggetto finché è servibile, ricicliamo tutto ciò che può essere
rigenerato
La sobrietà non consiste in una parola, in una
raccomandazione che i genitori fanno pervenire ai figli. E’ una scelta di vita
che trova, specie in famiglia, applicazione.
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