Spontaneità espressiva

Spontaneità espressiva

In genere diciamo che chi usa bene la comunicazione sa parlare con la pancia e con il
cuore oltre che con la testa. Ed è vero: per essere efficaci non ci si affida soltanto alla
validità dei propri argomenti ma anche a un sapiente uso di aspetti non verbali del
discorso che tocchino le corde più sensibili e profonde degli individui. Come? Utilizzando
le pause, il ritmo e l’intonazione in modo da ottenere l’effetto desiderato. La
comunicazione, infatti, non è soltanto scambiarsi concetti quanto “sentirsi” vicini grazie a
questo scambio.


Tutti noi, in realtà, usiamo il linguaggio non verbale ma in genere lo facciamo seguendo
uno schema fisso, che può non essere quello più adeguato al momento. per esempio
usiamo sempre uno stile cerimonioso e manierato, con un’intonazione cantilenante anche
quando siamo nel bel mezzo di una comunicazione importante, col risultato di non essere
ascoltati.

Oppure adottiamo una modalità sbrigativa fatta di frasi brevi, poche pause e poco tempo
per l’interlocutore, convinti di apparire concreti e affidabili, proprio mentre stiamo
discutendo una faccenda delicata con qualcuno che ha difficoltà a esprimersi. O anche
parliamo con una vocetta infantile e un tono sottomesso per apparire docili, disponibili.
Sosteniamo persino un colloquio di lavoro con questo tono, infastidendo l’esaminatore e
dando di noi stessi un’idea del tutto fuorviante.

Essere presenti alla comunicazione significa invece modularla di continuo, essere calati
nel momento e saperne interpretare in modo fluido le esigenze. Ce ne accorgiamo perché
a tutti capitano momenti di dialogo coi figli, di intimità col partner, o magari conversazioni
in chat con sconosciuti, in cui ci sorprendiamo a parlare con un tono del tutto diverso dal
solito, molto più disinvolto e adeguato alla situazione. In quei momenti siamo a nostro agio
e ci sentiamo benissimo!

Se ci lasciamo guidare dalle emozioni del momento e dal modo in cui risuonano in noi,
sarà quindi possibile trovare l’accordo con la nostra interiorità e le “parole giuste”
sgorgheranno più facilmente. Il segreto è ascoltare noi stessi: osservandoci durante le
normali conversazioni, ci rendiamo conto degli schemi che di volta in volta mettiamo in
campo e diventa più facile “sospenderli” quando ci paiono inadeguati o controproducenti.
Ascoltiamoci nella comunicazione di tutti i giorni, ponendo però l’attenzione non soltanto
sul contenuto di ciò che stiamo dicendo, ma anche sugli aspetti non verbali e in particolare
su pause, silenzi, ritmo e intonazione. Evitiamo di usare un ritmo frenetico nel parlare,
come se avessimo il terrore degli attimi di silenzio in cui nessuno sa cosa dire o che il
nostro interlocutore si possa infilare in quei vuoti.

Se parliamo con un tono monocorde, sempre triste o sempre allegro o sempre troppo
gentile, qualsiasi sia l’occasione, diventiamo ripetitivi: risultiamo assenti dalla relazione
vera del momento. Queste modalità di comunicazione sbagliate possono essere
abbandonate. L’osservazione ci permette di accorgerci dell’automatismo in cui siamo
caduti e ciò costituisce il passo essenziale per sperimentare forme di comunicazione più libere e spontanee.

Qualsiasi stile di comunicazione rigido e invariabile rivela mancanza di spontaneità, ma
anche scarso contatto con noi stessi e con gli altri. In fondo è come se recitassimo una
parte e dovessimo costantemente modulare ciò che sentiamo su un unico registro. Tutto
ciò che si discosta dal volto che voglio mostrare è ricacciato indietro. Qui non c’è prudenza
ma solo manierismo.

Conservo a proposito alcune confidenze avute da un amico dopo alcuni incontri con una
bella donna: “Bella, carina, ma non dovrebbe comunicare perchè riserva alle sue
espressioni modalità mielose, accompagnate da gesti quisi liturgici. Mi appare come una
subrette manipolata da schemi mentali codificati, ripetitivi. Mi sono chiesto se sono io
troppo pignolo, critico”. Gli ho risposto di verificare i contenuti che comunicava e che il
resto era solo forma…

No Comments

Post A Comment