Come ci si lavava

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Oggi, causa lavori sotto casa di ruspe su tubi, l’erogazione dell’acqua è stata sospesa dalle 8 alle 11, anzi alle 12. E mentre sono in attesa di potermi andare a fare la doccia, vi racconto quanto siamo fortunati noi rispetto ai nostri nonni.

Tanto per farvi subito un’idea di come ci si tenesse puliti (ci si lavasse) sino ai primi del Novecento, basti ricordare che nella maggioranza delle case non esistevano docce o bagni, c’era il cesso nel cortile usato da molte famiglie del caseggiato. Il riscaldamento delle case era scarso e l’acqua corrente calda o fredda era un sogno di là da venire e che quindi per lavarsi bisognava arrangiarsi.

In quasi tutte le camere da letto esistevano lavabi non ancorati al muro ma composti da bacinella e brocca; qualcuno stava incastrato in un apposito mobiletto in ferro o legno, altri posati semplicemente sul comò, che aveva per questo il piano di marmo. I miei nonni il lavabo l’avevano in camera, mettevano l’acqua la sera e al mattino si sciacquavano la sola faccia.

Per lavacri più completi, vi erano vari tipi di tinozze o mastelli di legno o metallo che servivano anche per lavare gli indumenti. Gli adulti (uomini e donne) si lavavano raramente tutto il corpo. In quanto lavarsi in modo decente era un’impresa abbastanza faticosa, pertanto ciascuno aveva tecniche diverse.
Innanzitutto l’acqua veniva prelevata dal pozzo con il secchio e versata nel mastello. 

Gli adulti entravano nel mastello, si sedevano e con un panno inzuppato di sapone toglievano dal corpo lo sporco sedimentato. Poi con una brocca d’acqua di riserva si toglievano dal corpo il sapone e lo si asciugava con teli di cotone. L’acqua insaponata serviva spesso per pulire i pavimenti.

Le donne se lavavano i capelli circa una volta al mese, si servivano di una bacinella d’acqua posta su una sedia della cucina e una brocca per sciacquarsi.  Il sapone e qualche volta le saponette si usavano per togliere lo sporco abbondante dalle lunghissime chiome. Si asciugavano i capelli al sole d’estate e alla brace del camino d’inverno: li intrecciavano e raccoglievano dietro la nuca. Gli uomini portavano capelli cortissimi, al ritorno dal lavoro li lavavano insieme alle altre parti sporche del corpo.

I bambini, al rientro in casa, prima di coricarsi, le mamme li lavavano in cucina con l’acqua nel catino ed ispezionavano il cuoio capelluto che non fosse popolato dai pidocchi. Al sabato c’era il “bagno”: uno dopo l’altro bambini e bambine si immergevano nella tinozza o mastello riempiti d’acqua e scaldata d’estate in cortile  e l’inverno nella calderina della stufa a legna. Le mamme calavano i loro pargoli, numerosi, uno dopo l’altro nel mastello e con modi spartani eseguivano il rito settimanale chiamato “bagno”.

L’attenzione delle nostre mamme consisteva nel risparmiare sul sapone che allora aveva un costo e fare in fretta perché l’acqua si raffreddava e d’inverno la riserva dell’acqua bollente era scarsa  e dipendente dal calore della stufa. L’acqua del “bagno” era sempre semifredda sia d’inverno che d’estate. Se i piccoli protestavano perché l’acqua era fredda, la risposta delle mamme era sempre la stessa: “Taci e faccio presto!”.

Così ci si lavava a quei tempi. Bene o male? Lascio al lettore la risposta.  

I ragazzi e i giovani aspettavano l’estate per tuffarsi in qualche torrente dove con sassi e terra si creavano dei piccoli bacini d’acqua. Nei mesi estivi certamente ci si lavava di più e meglio. In quelli invernali l’impegno a tenere pulito il corpo non mancava, anche se le possibilità per farlo erano scarse. Le conseguenze più gravi del poco igiene, erano le malattie cutanee che venivano diagnosticate “sfogo intestinale”.