Corruttori e corrotti

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“Settimo: non rubare”, recita il Decalogo. Imperativo presente e categorico nelle nostre orecchie dal tempo del catechismo. “Non rubare” dovrebbe risuonare anche ora nella mente di coloro che gestiscono appalti pubblici e privati. Sono molti quelli che pensano che rubare sia lecito, basta saper astutamente aggirare la giustizia, insomma farla franca non incorrere in guai giudiziari. Sembra che ci sia una gara di disonestà e che i vincenti siano i più disonesti, quelli che si arricchiscono con il denaro pubblico o degli altri.

Non si tratta di “furto con scasso” o “rapina a mano armata”, si ruba senza compiere
effrazioni di sorta, senza torcere un capello a nessuno. Il furto più diffuso ormai prende la dizione edulcorante di bustarella, mazzetta, tangente. Nella forma subdola e perversa del concorso delle parti, che si chiama corruzione, ossia relazione di complicità nel furto tra corruttore che dà denaro o altri vantaggi a un politico o amministratore, perché storca a suo vantaggio una risorsa pubblica e il corrotto che accondiscende all’intrigo.

Afferma Norberto Bobbio: “Questa nostra società  appare putrefatta e moralmente fiacca. Tutta, non soltanto il governo e il sottogoverno: tra chi sta dentro il palazzo e chi sta fuori c’è una corrispondenza. La corruzione dei politici e dei loro manager è una costante della vita politica italiana e forse non soltanto italiana: nasce soprattutto dal bisogno di procurarsi l’enorme quantità di soldi che i partiti e le loro correnti divorano, coinvolge tutti o quasi, creando una ragnatela di reciproci ricatti.”

Queste persone disoneste si accreditano all’opinione pubblica come gente perbene,
insospettabile, che ha raggiunto livelli elevati di onorabilità sociale. Così da occultare bene la frode e simulare la perfidia. Non a caso proprio qualche tempo fa il procuratore generale presso la Corte dei Conti ha denunciato che “la corruzione può attecchire dovunque: nessun organismo e nessuna istituzione possono ritenersene indenni”. La corruzione seduce per i vantaggi economici in pallio e la carriera che assicura.

L’onorabilità poi è strettamente congiunta alla corruzione. I corrotti e corruttori possono accedere a posizioni politiche e sociali di prestigio.

Ma l’uomo non vale per quello che appare, per l’immagine che dà di sé. Vale per quello che è. Un corruttore o corrotto è un ladro, un disonesto. Il che dice di più di un peccatore.

A proposito papa Francesco commenta: “Dobbiamo imparare a discernere le diverse situazioni di corruzione che ci circondano e ci minacciano con le loro seduzioni e chiederci se facciamo parte di questi. Il corrotto passa la vita in mezzo alle scorciatoie dell’opportunismo, al prezzo della sua stessa dignità e di quella degli altri. Il corrotto spesso si ripete “non sono stato io”. Accanto alla corruzione c’è anche la menzogna.

La corruzione è un autoinganno, che radica sia il corruttore che il corrotto nella sua ipocrisia. Ambedue sanno occultare talmente bene la truffa da convincersi che si tratti di “normalità” o peggio di furbizia. Gesù li paragona ai “sepolcri imbiancati, belli di fuori e pieni di putredine dentro”. Gesù non li chiamava peccatori, li definisce ipocriti, persone che ostentano lealtà e nascondano la menzogna.

Papa Francesco ci sprona a ripetere a noi stessi questa affermazione: “Sono un
peccatore, ma non un corrotto”. Essere corrotti è davvero triste, non solo abbruttiamo la nostra vita, ma anche quella degli altri. Sappiamo benissimo che essere corruttori e
corrotti altri si accodano a noi e così si formano le cosche, le organizzazioni malavitose.
Una di queste conosciuta è la mafia ormai capace di avere gregari ovunque. La mafia e altri gruppi malavitosi hanno le loro norme che assumano il valore codice, norme da
osservare, rischio la vita dell’aggregato alla cosca.