Le serate nella stalla

Tra i ricordi indimenticabili ci sono le serate invernali passate insieme nelle stalle.. Fino al termine degli anni Cinquanta del Novecento, la vita serale di molte famiglie veniva trascorsa in stalla.
Un ambiente umido, correlato di ragnatele e dal profumo del fieno che si mischiava con la puzza dello sterco degli animali. Era il luogo di ritrovo di grandi e piccoli per passare le ultime ore della giornata al tepore degli animali.
La stalla era quindi un vero centro di aggregazione sociale dei nonni, genitori, nonni e figli. Qui trascorrevano le lente e lunghe serate autunnali ed invernali tra il lavoro, le curiosità, il divertimento e la preghiera. In questo luogo abbastanza poco luminoso si tramandavano di
generazione in generazione le tradizioni, i racconti, le arti manuali delle donne e degli uomini: una vera fucina culturale. Il tutto sotto lo sguardo e la compagnia di quegli animali che facevano parte della vita di ogni giorno.
La stalla era spesso il luogo dove le persone anziane, ormai impossibilitate a svolgere lavori pesanti, passavano praticamente tutta o parte della giornata rannicchiate in un angolo sedute su uno sgabello e avvolte in una coperta con accanto le culle dei neonati affidate alle loro cure. Non mancavano i ragazzi e le ragazze grandicelli che trascorrevano il pomeriggio giocando o facendo i compiti.
Le persone che non avevano stalla chiedevano ospitalità ai vicini o parenti. La vita serale era impostata sulla recita del santo rosario, poi vi erano i racconti, quasi sempre gli stessi che incutevano paura. I personaggi dei racconti erano quasi sempre spiriti, diavoli, apparizione di morti, streghe, persone malvagie. Il narratore voleva inculcare negli ascoltatori la contrapposizione tra il bene ed il male.
Grandi e piccoli ascoltavano con attenzione questi racconti, poi facevano alcune domande alle quali facevano sempre seguito risposte categoriche in cui il malvagio periva mentre il buono era premiato.
Gli uomini, separati dalle donne, in un angolo della stalla, con un tavolino e alcune sedie, giocavano a carte, a morra. Gioco quest’ultimo, in cui due giocatori aprendo la mano in modo simultaneo formavano un numero con le dita, gridando ad alta voce un numero da
due a dieci, tentando di indovinarne la somma. Altro gioco in stalla era la Tombola con in palio qualche semplice premio.
Il radunarsi nella stalla di sera, dopo una giornata faticosa di lavoro nei campi, nei boschi e nell’accudire le bestie, rappresentava il momento del riposo che serviva pure a riflettere sul lavoro svolto durante le ore di luce, ma anche a programmare il da farsi il giorno dopo:
legna da tagliare, letame da trasportare, muretti a secco da ricostruire, arnesi ed attrezzi da riparare.
Nella stalla uno spazio era riservato alla panche su cui sedevano le persone durante le lunghe serate invernali a godere del tepore emanato dal fiato delle mucche. Questo luogo era illuminato dalla lanterna a olio, tenuta sotto controllo dagli adulti perché non finisse per terra o peggio vicino al fieno. Grandi e piccoli portavano persino in stalla la scodella con la minestra e qualche pezzo di pane o polenta per la cena, una parca cena, preceduta da una preghiera di ringraziamento al Signore: tutto allora era dono suo.
Nella stalla avvenivano anche gli incontri dei fidanzati. Quando il giovanotto aveva libero
ingresso nella stalla della sua morosa, significava che era stato riconosciuto ufficialmente anche dalla famiglia di lei, quindi era praticamente ufficializzare il rapporto che magari nei precedenti mesi estivi era stato tenuto nascosto alle rispettive famiglie di appartenenza. I due ragazzi fidanzati, si sedevano vicini, potevano scambiarsi alcune parole, scambiarsi gli sguardi, non andare oltre. Gli occhi vigili degli adulti e soprattutto delle mamme o delle nonne erano sempre su di loro. Un mondo quello di ieri, davvero diverso, con i suoi valori.