Donne e madri

In passato, le donne erano avviate fin da bambine dalle loro madri ad assolvere determinati
compiti, che andavano dalla cura della casa alla confezione del corredo, in vista del matrimonio. Il valore essenziale di ogni donna a quel tempo, era quello di imparare a cucinare, cucire, ordinare la casa e così prepararsi a diventare madre.
Nelle famiglie di ieri, l’arrivo di un figlio era considerato una benedizione mentre la nascita di una figlia era salutata con una sorta di rassegnazione, o con un entusiasmo molto minore rispetto al maschio. Nelle famiglie più povere, l’arrivo di una figlia femmina era addirittura considerata una punizione divina.
Il motivo va cercato nel tipo di società soprattutto agricola dove l’uomo garantiva la
produzione e il necessario alla vita. L’apporto di forza-lavoro fornito dalla donna era inferiore rispetto a quello dell’uomo. In quel tipo di società contava l’uomo che garantiva alla famiglia il necessario per vivere.
Un’altra causa che contribuiva ad accogliere con una certa rassegnazione la nascita di una figlia femmina. Ne abbiamo già parlato. Le rigide leggi tradizionali prevedevano che la ragazza portasse nel matrimonio la dote. Tutto ciò era interpretato come una vera e propria perdita economica per la famiglia di origine.
La gravidanza era un momento molto difficile per la donna. Era una maternità presente, sentita, ma non doveva essere visualizzata. In passato, non esistevano ecografie, analisi, test di gravidanza, era tutto affidato al senso femminile. In una situazione di precarietà
quotidiana, in certi casi l’unica certezza rimaneva una costante ricerca di contatto col divino, con il sacro.
Nel momento del travaglio e durante il parto, la madre, oltre che da altre donne di famiglia, veniva assistita da una levatrice o da una “mammana”, la quale aveva accumulato attraverso l’esperienza una certa conoscenza di come agire in questo delicato momento.
La scarsità o la mancanza totale di latte nella mamma poteva esporre il bambino a gravi rischi, dunque rappresentava una costante preoccupazione di tutte le madri. In questi casi, scattava una rete di solidarietà tutta al femminile. Una donna che aveva molto latte offriva il proprio seno a figli di madri prive di esso.
Nei primi mesi di vita, i bambini venivano fasciati con delle apposite strisce di stoffa dal petto in giù, lasciando libere soltanto le braccia. Ovunque, si credeva fermamente che la fasciatura impedisse di crescere con le gambe storte.
Era diffusa la credenza che, prima del battesimo, il neonato non potesse uscire di casa ed
essere mostrato in pubblico. In molti casi, probabilmente, il motivo era il malocchio, nei confronti del bambino, esposto allo sguardo altrui senza aver ricevuto il sacramento del battesimo, condizione irrinunciabile che permetteva al piccolo le grazie divine che lo proteggevano dal male.
Alcune testimonianze ci fanno sapere che la donna era costretta a rimanere in casa per quaranta giorni per il suo temporaneo stato d’impurità. Esisteva una cerimonia di “benedizione” a cui le donne partecipavano, in ricordo e memoria di Maria, che si era recata al Tempio quaranta giorni dopo aver partorito Gesù per compiere un sacrificio di purificazione.
Le mamme erano spesso sole, piegate dalla fatica nei campi e nelle filande. A rompere la
solitudine di queste donne c’era una forte solidarietà umana nei paesi soprattutto, un reciproco scambio tra le donne che riscaldava l’anima, incoraggiava e dava la possibilità di credere in un futuro diverso.