Il calzolaio

Il calzolaio costituiva un mestiere onorevole, seppur umile, ma capace di soddisfare le
esigenze di vita di una famiglia e assolvere un’importante funzione sociale.
In ogni paese e città c’era la bottega del ciabattino. La modesta attività dello “scarpolin” ha registrato echi notevoli anche nella letteratura e nell’arte. Un mestiere di antica tradizione e onorato sia per l’utilità che per la capacità di rattoppare e far durare le scarpe.
Noi ragazzi curiosi ci fermavamo sull’uscio della bottega del calzolaio del paese e lo osservavamo con stupore mentre batteva la suola e piantava chiodi tenuti fra i denti per comodità. Era uno spettacolo. Un vero professionista delle scarpe, a lui apparteneva la forma, la misura e anche eventuali adattamenti al piede del cliente che soleva far presente la condizione in cui si trovavano i suoi piedi. Se qualcuno obiettava che le scarpe erano strette e gli facevano male, la risposta era sempre la stessa: “I piedi devono abituarsi”.
Le scarpe nuove erano rare, un lusso, pertanto le vecchie erano mantenute in vita per lungo tempo a forza di risolature, di ricuciture e di rattoppi d’ogni genere. Mio padre che aveva da
giovane appreso mestiere, si sedeva spesso al suo basso tavolino per aggiustare le scarpe della nostra famiglia. Con la tenaglia levava la suola dalla scarpa ormai consumata e aggiungeva la nuova, riparava le tomaie, tamponava le fessure, contento di farci calzare scarpe che resistevano all’acqua e alla neve.
Nelle famiglie povere (e quasi tutte lo erano) le scarpe nuove costavano troppo e se i piedi da soddisfare erano molti, era necessario aggiustare, riparare, adattare le calzature al figlio o figlia minore. I poveri comperavano solo le scarpe della festa (più leggere e più fini rispetto ai pesanti scarponi) nella calzoleria di città, mentre quelle da lavoro o da portare nei giorni feriali erano rattoppate, pezzate, bucate.
Il calzolaio apriva la sua bottega di mattino presto, si posizionava al suo tavolino non prima però di avere indossato un grembiule con la pettorina di colore blu a protezione dei poveri
vestiti. Se doveva confezionare un paio di scarpe nuove, prendeva con precisione la misura del piede, riportava su un foglio di cartone l’impronta, ritagliava poi le tomaie e le suole.
La confezione di un paio di scarpe richiedeva due, tre giorni a seconda se erano per donna, uomo o bambino.
Nelle scarpe confezionate per bambini non c’era distinzione fra destra e sinistra, perciò risultavano intercambiabili da un piede all’altro: erano dette scarpe a dritto e sinistra. La misura delle scarpe contava poco, il piede doveva, il più delle volte, adattarsi alle scarpe.
L’attrezzatura che serviva per svolgere il lavoro era gelosamente custodita: martello particolare, scalpello, tenaglia, ago e filo, chiodi, colla, forme di metallo dove Sul piccolo scaffale accanto al tavolino teneva: cuoio, tomaie, tacchi, forme di legno per i scarpe, suole adattabili. Un vero deposito di pezzi soprattutto usati.
Il calzolaio spesso utilizzava la tomaia delle scarpe vecchie e, con maestria, l’adattava per confezionare gli zoccoli: un legno modellato a forma di piede a cui applicava la tomaia. Gli
zoccoli erano le calzature più usate nelle famiglie dei contadini, boscaioli, allevatori di bestiame.
Ricordo di aver letto negli anni ‘60 nella bottega di un calzolaio una saggia affermazione: “Un muratore si riconosce dal cemento sulle scarpe, un contadino dalla terra sugli zoccoli e un burocrate dal caffè sui mocassini!”.
Buffo, ma vero!