Il campanaro

La vita nei nostri paesi era scandita dal suono delle campane. Grandi e piccoli apprendevano il significato dei suoni provenienti dal campanile. Dal timbro e dal suono dei bronzi usati si capiva se si trattava dell’annuncio di una nascita, di una morte, dell’inizio di una funzione religiosa, della sosta per il pranzo, del termine della giornata. Dal campanile scendevano i tocchi delle ore e l’orologio su una facciata del campanile con le sue lancette indicava i minuti, le ore del giorno e della notte.
Il campanaro era l’esperto nel muovere i batacchi delle campane per regolare l’orologio. Otteneva con le campane piccole e grandi una gamma di suoni. Non mancava mai alle celebrazioni più importanti. E in quelle occasioni, tutti potevano sentire distintamente il risultato del suo impegno e della sua maestria. Nella torre campanaria il campanaro si aggrappava alle corde per muovere le campane e permettere ai batacchi di far sprigionare
dal bronzo suoni armoniosi che si diffondevano nelle piazze, nei vicoli, dentro le case.
Era un duro lavoro quello del campanaro che comportava, in certi periodi e situazioni; un’attività che metteva a dura prova la stessa resistenza fisica. Alla fatica muscolare si aggiungeva la puntualità nel far giungere il suono nelle piazze e case all’ora stabilita.
A mezzogiorno il tocco del campanone permetteva ai contadini di sospendere il lavoro per il tempo necessario per consumare un frugale pranzo. Così alla sera i tocchi invitavano tutti a chiudere la giornata con una preghiera. Non solo. Quando una persona emetteva l’ultimo respiro, il campanaro con suoni particolari diffondeva la notizia nel paese.
Da giovane sono salito con il campanaro nell’angusta e suggestiva cella del campanile del mio paese. Un cunicolo sempre più stretto tra muri angusti che diventavano cunicoli, percorsi su per le ripide scale polverose e improvvisate con il rischio di cadere. Si respirava un’atmosfera tutta speciale. Le emozioni e le fatiche portavano al pianerottolo all’estremità del campanile. Le dieci campane, sostenute da telai di metallo reggevano le campane con incisioni e dediche di chi le aveva donate. Ebbi una sensazione particolare, quei bronzi appesi nella cella campanaria per la prima volta li vedevo da vicino e il volume del campanone che vedevo da casa mia era di una grandezza triplicata.
Il campanaro svolgeva un lavoro poco pagato dal parroco. Il resto del lavoro lo svolgeva nei
campi e boschi. Al padre campanaro succedeva il figlio, il nipote, una vera arte famigliare. Un onere o onore? Ambedue! Fare il campanaro era una professione acquisita sul campo e difficilmente improvvisata. Nei diversi luoghi di ritrovo, il campanaro era accolto con un saluto corale, non lo chiamavano nemmeno per nome: era solo il campanaro applaudito per i suoi concerti e per l’attenzione nel controllare i tocchi delle ore diurne e notturne che segnavano il susseguirsi degli impegni.
Oggi il campanaro è rimasto nei ricordi di noi anziani e il suono delle campane poco amato dalla gente specie se il suono si diffonde per le case di buon mattino di domenica. Nella piazza di alcuni paesi sono le campane un richiamo a partecipare alle sante messe. L’impianto elettronico delle campane ha messo per sempre a riposo il campanaro. È rimasto solo il nomignolo appiccicato alla famiglia di questi simpatici personaggi del passato.
In alcuni paesi, infatti, la famiglia è soprannominata quella di campanaro.
Nei paesi sperduti tra i monti e le colline qualche raro campanaro è rimasto a ricordare una passione che ha lasciato nella mente e nel cuore di noi anziani tanti ricordi. Del resto le campane e il campanaro del nostro paese li portiamo con noi per risentire quei tocchi che segnavano i diversi momenti della giornata e gli eventi lieti e tristi della nostra piccola storia. Il campanaro devoto al suo campanile era un richiamo di appartenenza al proprio paese. Sì, perché nel passato il campanile segnava l’identità del paese e il campanaro indicava, con
i suoi concerti, i momenti importanti da vivere insieme.