Il maniscalco

Tonio il fabbro di buon mattino apriva l’officina, accendeva il braciere dove avrebbe messo i pezzi di ferro. Il fabbro era l’artigiano che forgiava oggetti di ferro oppure acciaio, utilizzando a questo scopo attrezzi a mano per martellare, curvare, tagliare o comunque dare forma al metallo quando questo si trovava in uno stato non liquido. Solitamente il metallo veniva riscaldato fino a farlo diventare incandescente, e successivamente sottoposto alla lavorazione di forgiatura.
Questo tipo di lavorazione è stata una delle prime tecniche utilizzate per la lavorazione dei metalli. Il termine “fabbro” proviene dalla parola latina “faber”, cioè artefice, capace di creare, costruire, trasformare la realtà in cui vive, per adattarla ai bisogni.
Mi ha sempre attratto il lavoro del fabbro del passato soprattutto quello del maniscalco. Noi ragazzi chiamavamo il maniscalco il ciabattino dei cavalli.
Attrezzato di martello e scalpello adattava lo zoccolo del cavallo al ferro che otteneva scaldando al fuoco un pezzo lineare e dandole forma a U battendolo sull’incudine. Era l’arte della ferratura che consisteva nell’applicazione di parti metalliche agli zoccoli dei cavalli per proteggerli dall’usura dello zoccolo.
Il maniscalco non aveva come unico compito quello di ferrare il cavallo ma, fino a qualche anno fa, confezionava personalmente i ferri secondo le caratteristiche e le necessità di ciascun cavallo. Prima di ferrare un cavallo, un asino o un mulo, questo artigiano ispezionava attentamente lo zoccolo dell’animale, lo misurava e poi con martello e scalpello toglieva le parti eccedenti per fare aderire il ferro allo zoccolo.
Per il maniscalco era necessario conoscere e saper lavorare il ferro a caldo o a freddo per riuscire ad adattare le verghe e le piastre metalliche agli zoccoli dei cavalli. Non era facile la ferratura, necessitava che il ferro incurvato a U aderisse bene allo zoccolo dove poi veniva inchiodato.
Di solito era un uomo dalla costituzione robusta. Il lavoro si svolgeva stando per ore piegato sulle zampe dei cavalli, sostenendone il peso sulle gambe. Ma soprattutto doveva possedere sensibilità e riflessi pronti, riconoscere gli stati d’animo dei cavalli, comprenderne le intenzioni e quindi prevederne gli scatti improvvisi.
Alla necessaria abilità manuale, il maniscalco associava anche conoscenze di anatomia degli arti ed in modo particolare delle loro estremità, ispezionava le andature e gli appiombi del cavallo. Spettava a lui realizzare una ferratura che teneva conto della conformazione individuale dell’animale, facendo attenzione anche alla scelta del ferro, che andava fatta in funzione dell’impiego del cavallo.
Il suo intervento era fondamentale non solo quando si tratta di ferrare piedi normali, ma anche per correggere piedi malati e andature difettose, ripristinando l’equilibrio dello zoccolo. Un vero conoscitore persino della deambulazione della bestia. Fatta la ferratura il cavallo veniva fatto camminare in strade sassose mentre il maniscalco osservava se zoppicava o una zampa era indolenzita.
Nonostante la pratica del “cavallo scalzo” la ferratura continuava ad essere necessaria per molti tipi di lavoro in cui i cavalli e quindi gli zoccoli, erano sottoposti alla ferratura. Anzi, questa tendenza ha dato nuovi impulsi all’elaborazione di moderne e più naturali tecniche di pareggio dello zoccolo e di recupero dei cavalli sferrati.
Grazie all’utilizzo di nuovi materiali, come ferri incollabili e scarpe allacciabili da impiegare in situazioni particolari, la mascalcia si rivela sempre più come un’arte al passo con l’evoluzione della scienza veterinaria e dei moderni ritrovati della tecnologia.