Il vignaiolo

Il vignaiolo e la vite
In passato la scuola ricominciava ad ottobre. I bambini dai sette anni in poi erano una forza lavoro non indifferente per l’agricoltura, la pastorizia, la raccolta della legna nei boschi. Il vigneto nella famiglia contadina ha occupato sempre un posto di rilievo. Esso veniva seguito nell’arco di tutte le stagioni con i lavori di potatura, legatura e piegatura dei tralci, zappatura del terreno, della cimatura, vendemmia.
Giuseppe, ormai ottantenne, ricorda: “I vigneti delle nostre pianure e valli collinose bergamasche, erano situati in zone sperdute che confinavano con i boschi di ginepri, frassini, castagni, carpini. I contadini vigilavano sui loro vigneti e gridavano a squarcia gola appena vedevano un uccello avvicinarsi ai preziosi chicchi”.
“Era un mestiere che mi piaceva tantissimo” continua Giuseppe. “Mi dava totale libertà e mi faceva sentire utile perché aiutavo mio papà nel momento della potatura a togliere dal vigneto i ramoscelli caduti per terra. Quando ero stanco mi avvicinavo alla sorgente d’acqua che era di una limpidezza invidiabile e lì lasciavo galoppare la fantasia sul mio futuro, m’immedesimavo le mie mani che sarebbero state callose come le sue e i suoi occhi vigili sulla sua vigna”.
Prosegue Giuseppe: “Prima della vendemmia era importante la cura con cui i contadini dovevano lavare ed aggiustare i contenitori del vino dell’anno prima come tini, botti, damigiane e fiaschi: operazione che veniva fatta nei giorni precedenti la raccolta dell’uva. Quando i contenitori erano pronti si poteva procedere alla vendemmia. In casa c’era un’atmosfera gioiosa, forse perché da quella vigna dipendeva la sussistenza della nostra famiglia patriarcale”.
“In una bella giornata di sole, che non mancava quasi mai, tutta la famiglia arrivava sul carro dei buoi con le scale, i cesti e le cesoie. E via a raccogliere i preziosi chicchi scartando quelli che si erano imputriditi. La vigna veniva ripulita di tutta l’uva: non ne rimaneva nemmeno un piccolo grappolo”.
“Questo lavoro era fatto e rallegrato con canti e risate. La sosta del pranzo poi la gioia dei cesti riempiti era incontenibile. Mio padre si metteva a capo tavola e dopo il segno di croce,
ringraziava il Signore per la vendemmia.
Il cibo era squisitissimo, lo mangiavamo seduti nel prato con due bei fiaschi di vino dell’anno prima mentre, per la frutta, avevamo alberi di fichi, di mele, di pere a portata di mano. Da bere, per i piccoli, c’era l’acqua sorgiva. Erano giornate intense e faticose, ma nessuno di noi avvertiva la stanchezza.”
“La cosa strabiliante per noi piccoli era la pigiatura. Eravamo noi bambini che dovevano entrare in questo contenitore e, con i nostri piedini, pigiare i chicchi. Che gioco bellissimo la
pigiatura! Sotto i nostri piedi sentivamo spaccarsi l’uva che schizzava contro le pareti e sguazzavamo all’infinito in un liquido odoroso, senza mai fermarci. Al termine quando gli acini avevano mollato il prezioso succo, il battimani dei partecipanti coronava l’impresa”.
“Dopo questa pigiatura, delle vinacce rimaste c’era una successiva torchiatura il cui composto che fuoriusciva poteva essere trasformato in “grappa”. Dopo la prima fermentazione il contadino raccoglieva il vino “vinello”, pronto per San Martino (11 novembre). Non mancava il dolce fatto con il mosto a cui si aggiungeva la farina, il “sugo d’uva”, che assumeva un bel colore violetto e che si poteva mangiare solo nel periodo della vendemmia”. Giuseppe mentre ricordava la vigna, l’uva e la pigiatura era commosso quasi fosse ancora lì, con i piedi nel mastello mentre mamma e papà tifavano per lui.