La pettinatrice

Nei primi decenni del Novecento nel nostro Paese c’erano i barbieri per curare barba e capelli degli uomini, non esistevano parrucchiere delle donne. Eppure, anche le donne di quel tempo, soprattutto in visione di feste o circostanze particolari (matrimoni, battesimi) desideravano presentarsi con i capelli ordinati, ben pettinati. Si rivolgevano allora alla pettinatrice, una sorta di parrucchiera a domicilio.
La pettinatrice si recava nelle case delle donne che richiedevano il suo intervento e “pettinava” i capelli con un pettine a denti strettissimi che permetteva di portar via la forfora e le altre impurità. I lunghi capelli delle donne che non venivano mai tagliati, dopo essere spazzolati e pettinati, intrecciati, venivano raccolti in una crocchia sulla nuca per formare il famoso “chignon”.
Le donne dei primi decenni del secolo scorso, usavano pettinarsi quasi tutte allo stesso modo: scriminatura centrale, trecce e chignon. Le giovani donne invece portavano i capelli sciolti. La pettinatrice oltre al pettine e la spazzola usava altri strumenti: forcine di osso e di tartaruga, ferretti. Una caratteristica particolare delle pettinatrici era di essere a conoscenza di ogni singolo fatto riguardante le sue clienti.
La pettinatrice non aveva molte clienti, la maggior parte delle donne si sistemavano i capelli con l’aiuto di qualche donna in famiglia.
Per mantenere le clienti faceva di tutto: apprezzava le sue clienti con espressioni che le avvaloravano, raccontava aneddoti, pettegolezzi e storie sentite dalle clienti.
La pettinatrice è rimasta nei racconti popolari, ma soprattutto in alcuni scritti letterari dove viene ricordata mentre frugava nella chioma sparsa, pizzicava bande di capelli, attorcigliava, ficcava spille dalla capocchia, ogni tanto lucidava, disfaceva, ricominciava, faceva treccine, acconciature pompose o semplici trattamenti contro il diradarsi dei capelli, strofinava l’aglio sulla cute “per uccidere il verme” che li fa cadere, li ungeva con oli e aromi naturali.
Una vera artista che le anziane ricordano, capace di dare un tocco di ordine e di bellezza ai lunghi capelli delle donne che nei giorni di festa con una nidiata di figli transitavano per le strade del paese sfoggiando la loro chioma.
L’arte della pettinatrice consisteva nell’abbellire la chioma con bravura e di apprezzare non tanto il suo lavoro, ma il risultato che otteneva, ammirando e lodando le clienti specie quelle che ci tenevano a distinguersi dalle altre. Un modo anche per riconoscere la sua abilità e lavoro e farsi pubblicità tramite le sue clienti, sempre pronte a riconoscere la sua bravura nel riordinare la chioma e nel diffondere le notizie nuove, vere o false, poco interessavano in quei tempi in cui i fatti raccontati ravvivavano le giornate sempre uguali. Non si pensi che le nuove riguardassero fatti nazionali, meno che meno quelli internazionali, la pettinatrice, di solito, era informata delle notizie del paese o paesi vicini: malattie, morti, fidanzamenti e nascite.
Non mancavano le informazioni sulle vedove del paese (allora erano tante) che dovevano sfamare i figli e su qualche zitella che si accasava con un vedovo. La chiacchierata si
concludeva con la solita espressione: “Quello che Dio vuole non è mai troppo!”.
Dimenticavo di dire che i capelli di tante donne non venivano nemmeno sfiorati dalla parrucchiera, queste si li lavavano, asciugavano e pettinavano da sole o con l’aiuto dell’amica. La tinta dei capelli allora cambiava solamente con l’età, non lo stile della pettinatura che prevedeva sulla nuca uno o due chignon o una o due trecce pendenti lungo la schiena o il seno. Mia mamma era orgogliosa delle sue trecce, conservo di lei una foto accanto a mio padre il giorno del matrimonio.