La stanza dei bachi da seta

In alcune case negli anni ’40, si coltivavano i bachi da seta. Una stanza del solaio veniva adibita come vivaio dei piccoli bruchi. Si viveva allora in tuguri, spesso con scale e ballatoi di legno sgangherati, interrotti da alcuni gradini spaccati e mai sostituiti e da ballatoi con protezioni cedevoli o inesistenti. L’avviso di porre attenzione veniva detto e ripetuto ai bambini, con esito incerto. Sta di fatto che qualcuno stramazzava sulla scala o peggio si trovava al piano inferiore infilando il piede in una fessura o appoggiandolo su una tavola logora dal tarlo.
L’agilità ci aiutava, non sempre però. Qualche bernoccolo in testa e ferita sulle braccia e gambe non mancava mai. L’unico pronto soccorso era quello familiare con qualche
fasciatura alle ferite con un pezzo di lenzuolo liso e uno scappellotto per non aver posto attenzione al pericolo. Allora, tutto era regolato dalla prudenza che sovente si mostrava insufficiente per tutelare l’incolumità dei piccoli e dei grandi.
La stanza dei bachi da seta dunque si trovava spesso in cima alla scala di legno, ripida e
dissestata, affiancata da un ballatoio di legno di dubbia sicurezza. Era per noi bambini qualcosa di straordinario arrampicarsi per quei gradini fino alla porta della stanza, una porta massiccia e appoggiata su due cardini consumati dall’uso. In quella stanza s’issavano a maggio tavole di canne per porre miriadi di vermiciattoli, biancastri e flaccidi, intenti a divorare le foglie di gelso.
Terminate le settimane della pastura, i bachi si rinchiudevano come volontari prigionieri
dentro una capsula dorata, fabbricata da loro stessi sputando un interminabile filo giallo, che formava il bozzolo di seta. Noi bambini seguivamo ogni tappa di questa meravigliosa opera. Quel filo che formava il bozzolo era per noi un vero spettacolo.
Un bruco piccolissimo costruiva la sua casa giorno dopo giorno. I grandi dicevano ai piccoli che quei bozzoli erano per le famiglie come la manna, specialmente per quelle più povere. Le famiglie senza il necessario erano tante e anche noi bambini soffrivamo la fame. Qualche famiglia allevava polli che poi vendeva a quelle più ricche per quattro soldi. Ghiottonerie erano la polenta, il latte, i fichi, lo stracchino e il burro fatto in stalla e confezionato con le felci o le foglie dell’uva. Quanta fame!
Il cesso veniva costruito con quattro assi e qualche lamiera nell’orto ed era usato da più
persone. L’accesso era promiscuo, senza litigi per il diritto di precedenza, perché si mangiava poco e quindi erano rare le occasione per servirsene. Una certa attenzione, come già accennavo, era riservata ai bachi da seta. Le famiglie con più prole, dormivano in una sola stanza per lasciare libero il posto alla maturazione di questi redditizi bozzoli. Il mio amico Mario m’informava che nella stessa stanza, durante l’allevamento dei bachi da seta, dormivano otto persone: il padre e la madre con tre figlie nel letto matrimoniale e i tre maschi su un pagliericcio di scartoffie steso sul pavimento.
Più volte andai ad osservare quei piccoli tessitori all’opera. Mario mi informava sui tempi, sulla maturazione e sui guadagni che la sua famiglia avrebbe certamente avuto. La stanza del miracolo economico era riscaldata con la stufa a legna, anche se il tepore del mese di maggio si faceva sentire. Mario mi spiegava che il caldo era necessario per tenere in vita il bruco.
Mario mi spiegava inoltre che suo padre era un allevatore esperto e appena i bruchi avevano terminato i bozzoli venivano gettavano in acqua bollente per uccidere l’insetto, poi il bozzolo veniva asciugato in cucina vicino alla stufa a legna per essere filato successivamente.
L’immersione in acqua bollente permetteva al filo di seta di staccarsi dal bozzolo. Era compito poi delle mamme e nonne raccogliere in un batuffolo il filo, pronto per la vendita.Un mondo, quello d’allora, povero che noi anziani conserviamo nella memoria, non per il gusto di fare confronti, ma solo per evitare i tanti lamenti quando ci viene a mancare qualcosa.