Latrine o cessi

La latrina, di solito per chi abitava in paese era nel cortile, mentre per quelli che vivevano in campagna o in case isolate tra i boschi, la latrina era situata dietro ad alcune frasche in un angolo appartato. In campagna la latrina era composta da una tavola di legno lungo circa cm. 80/90 e largo cm. 50 inchiodato su due paletti verticali ficcati nel terreno. Il tutto coperto da frasche, assi. I piedi dell’utente venivano posti sulla tavola e accovacciato attendeva ai propri bisogni.
La latrina nelle case del paese era molto semplice: una costruzione di mattoni addossata al muro di cinta con una fessura nella parte sopra la porta e sul pavimento un buco a cerchio davanti al quale era segnato il posto per mettere i piedi. Il buco di scarico era collegato al pozzo nero, una buca adiacente al cesso.
In mancanza della latrina si ricorreva a recipienti mobili posti spesso sotto le sedie fisse o mobili con un foro nel centro. Le latrine private potevano anche essere assai eleganti, come quelle dei palazzi dei ricchi di cui si conservano però soltanto disegni e descrizioni. Si trattava di un ambiente a forma semicircolare, con tre nicchie, dove c’erano tre sedili di marmo forati, divisi da braccioli marmorei: davanti c’era una vaschetta di acqua corrente.
Per i bisogni notturni i vasi da notte o pitali più comunemente adottati erano di terraglia, di porcellana o anche di ghisa porcellanata. Erano posti sotto il letto pronti per l’uso a tutte le ore notturne. Se gli utenti erano molti, si riempivano in fretta e bisognava scendere le scale e svuotare il contenuto nella latrina. A chi toccava, toccava. Spesso i bambini e i ragazzi pisciavano nel letto in mancanza del pitale o perché era pieno fino all’orlo. I genitori al mattino oltre che svuotare i vasi colmi di pipì, dovevano attendere anche a far asciugare le lenzuola e non solo.
Il problema abbastanza serio si presentava per le evacuazioni solide, specie quando per l’influenza e altro il bisogno del cesso era impellente. Chi aveva in dotazione una candela si avviava verso la latrina evitando di trovarsi a rotoloni in fondo alle scale, gli altri a tentoni raggiungevano il desiderato “deposito”. Per sicurezza o meglio per non calpestare qualche mucchietto di chi li aveva preceduti, si fermavano sulla porta della latrina. Al mattino vi lascio immaginare lo spettacoli dei diversi mucchietti che raggiungevano persino l’aia.
Le latrina nei cortili erano attrezzati del pozzo nero: una buca apposita per riceve urina, feci e acqua che spesso veniva usata per mandare nel pozzo nero ciò che era rimasto in superficie. Gli adulti con il secchio in mano e una scopa di vimini attendevano a questo imbarazzante rito. Il pozzo nero, mensilmente si svuotava. L’operatore ecologico era qualche povero uomo che per poche lire eseguiva un così ingrato servizio. Lo chiamato “ingrato servizio” perché la gente disprezzava questo mestiere e spesso colpevolizzava l’operatore per la puzza che diffondeva per la strade.
Il liquame messo in due secchi portati in spalla con il bilanciere veniva versato nel torrente più vicino o nelle campagne. Durante il viaggio, quel povero uomo, per il vento e il dondolio dei secchi veniva spruzzato di liquame. Per pulire le mani i piedi e il capo, al termine del servizio, si recava alla fontanella del paese a notte fonda, si lavava o meglio si toglieva di dosso una parte del fetore.
Nessun riconoscimento a questo operatore ecologico di ieri, solo poche lire da spendere all’osteria del paese. Se poi in alcune occasioni si ubriacava, la gente soleva anche dire: “Guarda come s’è conciato con i nostri soldi” Certamente voleva, per una sera, annusare il profumo del vino, dopo aver annusato tanta puzza. La storia delle latrine o cessi e dell’operatore ecologico d’allora, forse, non è scritta da nessuna parte. Vale la pena conoscerla, specialmente nel nostro tempo in cui le case sono attrezzate di doppi, tripli servizi. Un mondo quello di ieri rimasto solo nella memoria di noi anziani. Lo ricordiamo non per fare confronti, sarebbero fuori posto, ma per dire ai giovani: siate contenti, non lamentatevi!