Campane fuse in bombe

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Le dieci campane del campanile suonavano sempre: di mattino, a mezzogiorno, la sera. I rintocchi melodiosi raggiungevano tutti gli abitanti vicini e lontani della conca. Suonavano le campane e nessuno di noi era infastidito da quel suono che aveva accompagnato la nostra crescita nei momenti belli di gioia e di dolore. Durante la seconda guerra mondiale, Mussolini comandò che le campane fossero tolte dalle torri campanarie e messe a disposizione per le armi. 

Furono calate dal campanile alla presenza dei tedeschi che tenevano a bada, con il mitra puntato, un crocchio di contestatori sulla piazza. Quel bronzo occorreva all’esercito per vincere la guerra, già ormai persa, a parere di molti. Gli anziani del paese scuotevano la testa e mormoravano: “Il duce, prima ha voluto l’oro, il rame delle nostre case e ora anche le campane”. Un ometto ottantenne in mezzo al crocchio, gridò: “Signore salvaci!”. Un soldato tedesco con violenza e rabbia lo aggredì, gridando: “Raus, via!”. 

Le persone impaurite s’allontanavano da quello spettacolo di tristezza. Il suono delle nostre campane lasciava il posto al rombo dei cannoni, al frastuono delle bombe. Quei bronzi che invitavano alla preghiera, annunciavano la gioia di una nascita, di una solennità, di un
matrimonio e anche la tristezza di un lutto, non c’erano più. Un’epoca sembrava che finisse e si preannunciassero tempi bui, calamitosi. 

Come risposta alle ansie e paure della povera gente, c’era un manifesto affisso ai muri: “Le vostre campane: un dono alla patria!”.
Molti furono strappati con rabbia. Mio padre, commentò: “Il duce comanda un popolo di cretini!”. Noi sapevamo che certe affermazioni dovevano rimanere dentro le quattro mura domestiche. Chi discuteva, infatti, sulle scelte del duce, rischiava d’ingoiare una bottiglia d’olio di ricino e di ricevere alcune manganellate.

La gente aveva paura e anche i preti ci consigliavano di tacere e di pregare, mentre le campane venivano caricate su camion militari e portate via.  Lasciarono sul campanile
le tre campane più piccole per dimostrare, non si sa a chi, il rispetto verso la chiesa, la religione e i fedeli. Bazzecole! Le campane rimaste ci ricordavano ogni giorno, con il loro tintinnio, lo scempio compiuto, la guerra, i nostri bronzi fusi in bombe. I nonni sussurravano ai nipoti che le campane benedette trasformate in bombe erano il preludio della sconfitta. E così fu… 

Nel 1945 finì la guerra. La gente subito ebbe in sé tanta voglia di ricostruire le case, le fabbriche, la famiglia, la società, ma anche di riportare nuove campane sul campanile per annunciare a tutti la pace, la gioia, la vita. Ci fu una gara di solidarietà e d’entusiasmo, e un certo campanilismo (termine che deriva proprio dalle campane) con i paesi vicini per essere i primi a ripristinare il concerto. 

Il pane ancora scarseggiava e l’indigenza del necessario del dopo guerra era assai diffusa, tuttavia le campane non potevano attendere. Gli abitanti volevano udire di nuovo quel suono che invitava la gente in chiesa e rallegrava i giorni di festa. Bastò un anno circa di gara solidale perché il concerto delle nostre campane si diffondesse per la valle.
Erano altri tempi quelli, quando la gente si lasciava accompagnare dal suono delle campane al mattino per iniziare una nuova giornata, a mezzogiorno per una sosta del lavoro nei campi, alla sera per dire un grazie a Dio della giornata trascorsa. 

Noi ragazzi spesso ci fermavamo sul piazzale della chiesa con gli occhi fissi sul batacchio delle campane, contavamo i tocchi e ritocchi e quel suono scendeva nel profondo della nostra anima come fosse un invito, un appuntamento, un richiamo a sospendere il gioco per tornare a casa.