Come si faceva il bucato 

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Mia nonna Teresina, ormai settantacinquenne, mi raccontava come faceva il bucato del “bianco”, lenzuola, canovacci, tovaglie, asciugamani di canapa e come lavava gli indumenti. “Il bucato del bianco lo si lavava una volta al mese, mentre tutte le settimane gli indumenti. Di solito per lavare i vestiti e la biancheria si sceglieva una giornata soleggiata. Noi eravamo una famiglia patriarcale di 20 persone e il cumulo della biancheria e panni riempiva tante ceste”.

Le ho chiesto come svolgeva questo faticoso lavoro. Mia nonna con tanta semplicità e orgoglio mi raccontò: “Dopo aver portato a casa l’acqua, si faceva una prima passata ai panni, sporchissimi, con spazzola, sapone, e molto olio di gomito. La biancheria invece veniva posta in un mastello, la si ricopriva con un vecchio lenzuolo e sopra il lenzuolo veniva messa la cenere che, come si sa, ha un potere sbiancante e sgrassante. Poi si versava l’acqua bollente da riempire il mastello. In quest’acqua il bucato vi rimaneva un giorno intero”. 

Nonna Teresina mi delucidò sull’intero trattamento: “Una volta tolto dal mastello, il bucato doveva essere ben torto prima di essere risciacquato al lavatoio. Con le ceste piene di panni noi mamme andavamo al lavatoio pubblico, se c’era, verso qualche ruscello dove scorreva l’acqua pulita. L’acqua del bucato rimasta nel mastello, dopo che la biancheria veniva messa nelle ceste, era utilizzata per lavare i capelli che acquistavano in brillantezza. Nulla era buttato, tutto allora veniva recuperato”.

Un giorno mia nonna mi portò al lavatoio: un locale con alcune vasche sormontate  da lastre di pietra per appoggiare e premere il bucato dal sapone e dalla lisciva: “Per togliere dai panni la cenere e il sapone dovevamo sbattere con forza i panni sopra la pietra del lavatoio o l’asse di legno portato da casa. Un lavoro molto importante per rimuovere dal tessuto i grumoli della lisciva e lo sporco più resistente. Gli indumenti, infine, tenuti fra le mani da due donne, si strizzavano facendoli girare in parti opposte”. 

Dopo la sciacquatura il bucato veniva messo a sciugare: “Gli indumenti e la biancheria per l’asciugatura venivano distesi in cortile, nei prati, sullo stenditoio rudimentale delle nostre case. In campagna si appoggiavano anche sui cespugli. L’inverno si stendevano in cucina attorno alla canna fumaria dotata di alcuni appoggi sulla canna fumaria o vicino al camino.  Asciugati, alcuni indumenti venivano stirati con il ferro da stiro alimentato dal calore della carbonella”. 

Mi interessava sapere anche come gli indumenti venivano stirati dopo l’asciugatura, chiesi pertanto delucidazioni a mia nonna: “Molti indumenti non erano stirati, alcuni sì. Il primo ferro da stiro che ho avuto (anni ’40) era quello pesante che si metteva direttamente sulla stufa. La piastra si riscaldava e io potevo stirare il tempo che durava questo calore, ovvero pochissimo. Insomma per dare una piega ai capi ci voleva davvero tanto tempo. Le stufe di una volta erano fatte a cerchioni concentrici i quali si toglievano uno ad uno, a seconda della grandezza della pentola da mettere?
Ebbene, quella era la stufa su cui io poggiavo il ferro da stiro. Nelle sartorie, dove il ferro era attaccato tutta la giornata si è sempre preferito impiegare questo tipo fino all’avvento dell’elettricità, infatti, si rischiavano meno bruciature ed era più pulito. 

E continuò: “Successivamente ho utilizzato quello dove si mettevano le braci direttamene dentro al ferro. Quello che, come cimelio, si trova ancora in tante case. Era tutto nero e aveva l’apertura in alto che permetteva di riempirlo di braci ardenti. Questo ferro aveva un’autonomia più grande rispetto a quello di prima.  Per poter stirare agevolmente dovevo spruzzare la stoffa con dell’acqua. La bruciatura era assicurata se non si aveva l’accortezza di mettere uno straccio tra la stoffa e il ferro”.