El cadregatt

Nel dialetto milanese l’impagliatore di sedie si chiamava il Cadregatt, in riferimento alla
sedia chiamata “cadrega”; i bergamaschi valligiani lo chiamavano “sgagnì”, sempre in riferimento alla sedia chiamata “scagna”. Negli altri dialetti lascio al lettore la ricerca.
L’Impagliatore di sedie o “cadregatt” è un simpatico artigiano rimasto nei ricordi. Questo mestiere era molto diffuso, in quanto molti oggetti erano confezionati con paglia intrecciata, infatti si sfruttava la materia prima (giunchi, foglie di mais, paglia di segale, midollino, paglia
di riso) che cresceva lungo i corsi d’acqua. Le sedie nelle nostre famiglie erano impagliate. L’arte dell’intreccio del giunco acquisita dall’impagliatore, riscuoteva riconoscimento e apprezzamento.
Le donne del paese lo attendevano ogni mese per far riparare le sedie di casa consumate dall’uso. Prima di affidare il lavoro pattuivano il prezzo. Ricordo Antonio lo “scagnì” che dopo una sbuffata e una scrollata di spalle assicurava le donne del lavoro ben fatto e del costo. Non mancava mai qualche sconto specialmente alle clienti abitudinarie che gli portavano tre, quattro sedie per volta.
Il lavoro dell’impagliatore di sedie iniziava molto prima a casa sua con la lavorazione della paglia da intrecciare poi sulle sedie. Dopo essere stati raccolti i filamenti vegetali più idonei alla impagliatura, venivano levigati ed ammorbiditi con prolungati bagni d’acqua. La cosiddetta paglia che l’artigiano portava con sé, era sempre la migliore, ma soprattutto resistente, duratura. Aveva sempre con sé un modello di sedia impagliata da esporre al cliente.
L’impagliatura poi avveniva come fosse un ricamo e ne ripeteva i punti: a croce, a stella, a tessuto, a rete. Era tutto un gioco di simmetria e di equilibrio; la stella del fondo richiamava quella del coperchio, la treccia quella del bordo, a volte, era di un colore diverso. Le sedie decorate appartenevano a qualche salotto dei ricchi che l’impagliatore riparava a domicilio.
L’impagliatore di strada impagliava le sedie con materiali comuni, resistenti e soprattutto
economici per far risparmiare a quelle donne che lo contattavano spesso attorniate da una nidiata di figli. Se poi il telaio della sedia richiedeva qualche riparazione, il buon uomo con chiodi, colla e lacci la rimetteva in sesto, borbottando: “E’ l’ultima volta che le metto mano, ormai è fuori uso”.
Le donne le davano ragione, ma per cambiare le sedie sgangherate ci volevano i soldi e a quei tempi spesso si rimediava in casa con le panche e sgabelli di legno.
L’impagliatore di strada è ormai scomparso, rimangono aperte alcune botteghe artigianali che impagliano solo alcune sedie d’epoca. Questo artigiano è rimasto nei ricordi di alcuni anziani che allora bambini si fermavano ad osservare con quanta rapidità intrecciava i filamenti di vimini, di paglia tenendo spesso tra i denti alcuni rametti di salice che di volta in volta intreccia con la paglia per fissarla al telaio della sedia.
Finito il lavoro della impagliatura si alzava e, dopo alcuni stiramenti delle braccia e sgranchite le gambe, si sedeva con un pizzico d’orgoglio per dimostrare a se stesso e ai clienti che il lavoro finito reggeva il suo peso… Poi lentamente si risedeva sullo sgabello e impagliava un’altra sedia, fino a quando la luce del giorno glielo permetteva.
Terminato il lavoro, caricava sul carrello agganciato alla bicicletta, attrezzi e quanto le era avanzato di paglia, di vimini e altro e ritornava al suo paese con in tasca qualche lira, quanto gli serviva per vivere lui e i suoi numerosi familiari.