Osti e osterie

L’osteria e l’oste, uno spazio e una persona leggendari. A caratteri cubitali all’ingresso delle osterie c’era la scritta: “Osteria” e affiancato: Vino. Nel locale arredato con tavoli e panche vegliava l’oste quasi sempre cicciottello con baffetti e due occhietti vigili sugli avventori. Li controllava, non tanto perchè evitassero le sbornie e non facessero danni nel locale, ma perché pagassero quanto consumavano.
I mariti brilli o con la sbornia, di solito con le buone maniere o cattive, venivano fatti rincasare dalle mogli che si recavano in osteria a tarda sera scaricando sull’oste e sul marito tanta rabbia. Quei soldi spesi in osteria servivano per sfamare la numerosa prole. Le parole o parolacce e le risse per far rientrare in casa i mariti ciuchi, per rispetto le lascio nella penna.
In osteria oltre a bere si mangiava. Che cosa si mangiasse è facile saperlo, si trangugiava ciò che offriva l’oste. Soprattutto ciò che produceva l’orto in quella determinata stagione: insalata, verze, patate, zucca, pomodori e altro. Si gustavano i sanguinacci o le cotiche se il maiale era stato appena (o da poco) macellato. Non mancava lo stracotto di asinina, il cavallo lessato o cotto alla brace. E poi gli animali del cortile: pollastri, capponi, tacchini, oche e anatre. Non mancavano mai i formaggi stagionati, la fetta di lardo, di salame, di cotechino e l’uovo sodo.
Per placare la sete del cibo spesso pepato e salato, si beveva il vino. I fiaschi troneggiavano sui tavoli in compagnia delle caraffe. L’osteria era un’occasione per bere un bicchiere di vino “sincero”, non si dimentichi infatti che nelle case della gente comune si beveva un vino scadente. Nel sottobanco delle osterie l’oste teneva nascosta la grappa da servire ai bevitori come coronamento delle serate. L’oste si vantava che fosse di produzione propria.
L’oste conosceva ogni notizia del paese o borgata, era, per dirla in parole ora in uso, l’animatore del tempo libero dei suoi clienti stressati dal lavoro con pochi soldi in tasca e tanta voglia di rimuovere dalla loro testa i tanti problemi famigliari. L’oste raccontava non solo i sapidi aneddoti dei famosi mangiatori e bevitori che avevano frequentato il suo locale, ma anche i racconti di mirabolanti battute di caccia. Parlava della gente per bene e dei birbanti e ascoltava le nuove per essere aggiornato dei fatti del paese e dei paesi vicini. E come tutte le storie che sono riportate, nel trasmettere i contenuti specie l’oste, ci metteva del suo per soddisfare i clienti analfabeti e boccaloni.
Nelle giornate di festa ricorrenti durante l’anno in onore dei santi e sante patroni del paese, nelle osterie si suonava la fisarmonica, si ballava e cantava. Queste erano le uniche occasioni in cui le mogli e le nidiate dei figli accompagnavano i mariti in osteria. Le mogli facevano crocchio tra di loro e sbirciavano i mariti perché non alzassero troppo il gomito. Non era un’impresa facile e il più delle volte, il vino sorseggiato tra una risata e l’altra, cambiava gli umori e la festa finiva in rizza, anche per gelosia. L’oste si metteva sempre di mezzo come paciere, non tanto perché volesse tutelare la coppia, ma solo per non tirarsi tra i piedi gli sbirri.
Le osterie e gli osti sono ormai appartenenti a quel piccolo mondo del passato dove gli uomini lavoravano dallo spuntare del sole al tramonto e quando possedevano qualche lira la mettevano tra le mani dell’oste in cambio di un bicchiere di vino, anche due, tre. L’oste conosceva bene i suoi clienti saltuari e abitudinari, a questi ultimi riservava maggiore attenzione anche se gli davano, di tanto in tanto, qualche problema di ordine pubblico. Così andavano allora le cose, gli uomini con il fiasco da sgolare si sentivano qualcuno, come Renzo di manzoniana memoria nell’osteria della Luna Piena.