I pastori

Negli anni cinquanta del secolo scorso, ero appassionato di alpinismo.
Insieme ad alcuni amici alla domenica ci incamminavamo verso le cime preferite.
A quota 1000 – 1500 c’erano diversi alpeggi con i pastori che custodivano bovini, ovini, caprini.
Volevo conoscere la vita umile dei pastori, entravo quindi nelle loro baite diroccate per conversare. L’abitacolo era composto di un solo locale con il camino di pietre, dove il fuoco lambiva il paiolo del brodo o della polenta. Un luogo fumoso, l’aria pressoché irrespirabile.
Attorno al camino c’era un uomo con le mani rugose e un paio di ragazzi in attesa di una fetta di polenta e un pezzetto di stracchino ottenuto dal latte appena munto. Giunta a cottura la polenta fumicante, seduti sullo sgabello, il vecchio e i giovani silenziosamente ingoiavano con voracità lo scarso pasto poi appendevano le pentole al soffitto basso e mettevano la posateria su una tavola di legno.
Sul pavimento di terra battuta giacevano i sacchi riempiti di paglia o pagliericci. I pastori si buttavano vestiti per riposare alcune ore notturne. A turno, di notte, vegliavano sui recinti dove avevano rifugiato i loro animali. Qualche animale predatore (la volpe) poteva danneggiarli.
All’alba si alzavano e aprivano i recinti per condurre il bestiame al pascolo.
Camminavano su e giù per i sentieri e le mulattiere fino a raggiungere la radura dove per l’intera giornata gli animali brucavano l’erba. Di solito i pastori facevano pascolare gli armenti in prati dove scorreva un ruscello o avevano convogliato l’acqua piovana in bacini.
Il cibo che i pastori portavano con sé era abitudinario: pane di segale, un pezzetto di formaggio, un frutto e un fiasco con l’acqua per dissetarsi.
Stanchi e spossati dal duro lavoro facevano piccole soste durante le giornate interminabili seduti sotto un albero con la schiena appoggiata a un tronco. Per circa sette mesi l’anno ogni giorno si ripeteva lo stesso rito.
Da aprile a ottobre i pastori rimanevano con i loro bovini, ovini e caprini lontani da casa: vegliavano sul benessere di loro animali, meno sulla loro salute. Da quel allevamento dovevano ricavare il sostentamento della loro numerosa famiglia. I prodotti erano: i formaggi le carni, la lana. Avevano con sé i cani, addestrati per gli spostamenti degli animali e per custodire gli stessi.
Durante il mese d’ottobre, i pastori riportavano la mandria nelle stalle vicino alla loro abitazione. La stalla richiedeva tanto lavoro: rastrellare il fogliame nei boschi che serviva come lettiera nelle stalle, alimentare con il fieno gli animali almeno due volte al giorno, mungere le mucche e asportare nei campi il letame della stalla, vigilare sul benessere degli animali, vigilare sulle fecondazioni, assistere le vacche nel parto.
Nei mesi invernali le famiglie dei pastori erano impegnate nel vendere i prodotti del loro allevamento e racimolare i soldi necessari per gli acquisti essenziali: abiti, scarpe, coperte, alimentari di prima necessità. Nonostante le condizioni d’indigenza e di fatica a varcare il lunario, la vita famigliare era rallegrata dalla numerosa prole.
Alla sera d’inverno per scaldarsi grandi e piccoli si recavano nelle stalle: le donne lavoravano a maglia, gli uomini giocavano a carte e i piccoli saltavano sul fienile. Un piccolo mondo in cui le persone si accontentavano di quel poco che avevano.