Le fontanelle e i pozzi

Ho chiesto alla signora Antonia di 86 anni vissuta in un paese al sud di Milano di raccontarmi come si procurava l’acqua ai suoi tempi.
“Noi che abitavamo in campagna avevano i pozzi che venivano alimentati dall’acqua piovana. Con il secchio appeso alla corda e calato nel pozzo, portavamo in superfice l’acqua, la filtravamo e bollivamo. Alcuni pozzi erano attrezzati di un sistema di pompaggio manuale per estrarre l’acqua attraverso un tubo. Nelle nostre case c’erano secchi e mastelli per l’acqua grandi e piccoli”.
“In paese c’erano tre fontane dove le famiglie attingevano l’acqua. Donne e uomini al mattino si recavano alla fontana più vicina per riempire almeno due secchi contenenti e portare a casa almeno 15 litri d’acqua per l’uso dell’intera giornata. Quando al sabato si faceva il bagno, si scaldava l’acqua nella calderina della stufa e versata in una tinozza. Per lavare i panni ci recavano ai torrenti oppure al lavatoio comunale. L’acqua era considerata un bene prezioso e fondamentale e di conseguenza usata con parsimonia e trattata con rispetto”.
“Un tempo procurarsi l’acqua non era così semplice come lo è al giorno d’oggi; l’acqua, nonostante non fosse ancora una risorsa in via di esaurimento come lo è in questi tempi, veniva sempre risparmiata, spesso riutilizzata, e mai sprecata, soprattutto in tempi di guerra. Mia nonna mi racconta che nel suo paese, ai tempi della Prima Guerra Mondiale occorreva
andare a prenderla ai pozzi, situati in alcune zone del paese, riempirne grandi secchi e portarseli a casa, dove venivano svuotati in bacinelle per i vari bisogni. Un paio di volte alla settimana, però, a turno lei e i suoi fratelli dovevano tornare in paese a prenderne dell’altra, per non rischiare di rimanere senza”.
“Ogni casa aveva una o più cisterne di pietra, credo ardesia, dove si formavano delle riserve d’acqua: sia quella che arrivava da qualche ruscello e quella piovana. In questo modo si poteva avere l’acqua più o meno sempre, ma per forza di cose si doveva essere parsimoniosi nell’usarla”.
“Ricordo molti contadini che, coltivando i loro terreni, erano in seria difficoltà, quando pioveva poco, non potevano irrigare le loro coltivazioni. Ma per ovviare a questo problema avevano escogitato il sistema delle cisterne per la raccolta dell’acqua piovana. Me le ricordo bene, erano cisterne molto grandi che si trovavano nei loro terreni. Quell’acqua poi veniva usata appunto per irrigare.
Però ricordo bene anche molte donne che andavano di buon mattino al torrente a lavare le lenzuola e altri panni che poi lasciavano ad asciugare sugli enormi sassi delle rive”.
“Noi avevamo con l’acqua un rapporto di grande rispetto. L’epoca del consumismo è iniziata solo dopo quando ero adulta. Lo spreco dell’acqua veniva visto nella mia famiglia come qualcosa di impensabile: i rubinetti erano sempre aperti. Ora dire a un ragazzo e adulto che l’acqua va comunque risparmiata è difficile e spesso noi anziani siamo tacciati di arretratezza”.
“Mio padre, mi ha raccontato che agli inizi del novecento l’acqua se la procuravano da un pozzo che si trovava a 30 metri da casa. L’attingevano con un grande secchio e veniva impiegata per tanti utilizzi: per cucinare, lavarsi e abbeverare le capre, mentre per lavare i
panni andavano ad un ruscello vicino. Alcune volte andavano a procurarsi l’acqua ai fontanili dove l’acqua che scorreva da un tubetto di ferro o di legno scavato. Per bagnare l’orto costruivano delle dighe scavando nella terra, utilizzando l’acqua del ruscello; quando l’acqua arrivava al culmine, aprivano la diga e l’acqua straripava sul terreno”.
Un mondo quello che racconta Antonia che i giovani devono conoscere per apprezzare il bene dell’acqua. L’acqua è vita e sciuparla, inquinarla è davvero grave.
Alcuni esperti ci fanno sapere che le riserve d’acqua potrebbero esaurirsi per i cambiamenti atmosferici globali in atto. San Francesco la chiamava “sora”, sorella e la benediveva. “Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta”.